Fondi all’editoria, 120 milioni che gridano vendetta

Prima di tutto una precisazione. Come trovate scritto in altre parti del sito, questa casa editrice, questo giornale e chi sta scrivendo non prendono un centesimo di contributi pubblici per l’editoria e mai li hanno presi. Detto questo la questione, come sempre in Italia, è drammatica ma non seria. Perché questa enorme mole di denaro dei cittadini (enorme ma non così enorme da fare la differenza: per il 2012 parliamo di 120 milioni l’anno: l’equivalente di mille euro al mese – con tasse e contributi – dati a 7.500 persone) è certamente un elemento distorsivo del mercato. Non solo perché questi soldi (che in un primo momento nel 2012 il governo Monti aveva stabilito di ridurre a soli 47 milioni rispetto ai 72 del 2011 – nel 2010 erano stati 140 milioni) negli ultimi anni sono andati solo a testate della carta stampata (quotidiani e periodici) con criteri molto discutibili e discussi. Ma anche perché sono stati oggetto di truffe, scandali e casi penali che hanno spesso visto protagonisti personaggi politici di primo piano – come il coordinatore del Pdl Denis Verdini, sotto accusa per contributi illecitamente percepiti dal suo Giornale di Toscana e dal settimanale Metropoli per 22 milioni fra il 2002 e il 2011 – o di minor peso politico ma non giudiziario come Valter Lavitola, già direttore ed editore dell’ Avanti ma anche faccendiere vicino a Silvio Berlusconi. Una decina di casi di truffa conclamata che, come denuncia il Fatto Quotidiano pesano per circa 110 milioni sulle casse dello Stato.
Criteri discutibili
In quanto ai criteri discutibili e discussi a cui facevamo riferimento, prima di tutto la questione carta stampata: va bene che non si sia voluta sostenere la Tv, visto che in Italia, storicamente, c’è una stortura micidiale nei confronti della raccolta pubblicitaria. L’indagine conoscitiva dell’Authority sulle comunicazioni AGCom resa nota lo scorso novembre spiegava che nel 2011 il 42% delle risorse pubblicitarie nazionali è andato alle televisioni, solo il 27% alla carta stampata (circa 14% quotidiani, 12% periodici). Tradotto in quattrini, più di 4 miliardi alla Tv (di cui quasi 2,5 miliardi alla Fininvest di Silvio Berlusconi, primo operatore con il 60% del mercato: negli Stati Uniti il primo operatore ha il 25% del mercato, nel Regno Unito il 34%), meno di 2,7 miliardi alla stampa. Una situazione di concentrazione unica al mondo. Per questo viene incentivata la stampa e non la televisione: per salvaguardare la pluralità delle fonti di informazione. Ma allora perché l’editoria on line non gode di incentivi? Non li stiamo chiedendo, ma ce lo chiediamo. Il Governo Monti, in realtà ha demandato la questione alle regioni. E alcune (come la Toscana) hanno anche deliberato di destinare fondi, creando subito le condizioni per nuovi scandali. Fortunatamente (in questo caso si può dire) i vincoli del patto di stabilità hanno di fatto impedito sussidi a pioggia anche in questo settore, dove non solo non chiediamo fondi, ma vorremmo non ne venissero erogati perché siamo convinti, come azienda, che se ci lasciano lavorare possiamo offrire un servizio al pubblico portando anche a casa un profitto ragionevole. Se cominciano le distorsioni, invece…
Fondi a casaccio?
Nessuno ha mai spiegato ai contribuenti/elettori come mai ancora nel 2010 siano stati erogati fondi per:
- 6,4 milioni all’Unità
- 5,9 milioni al quotidiano dei vescovi Avvenire
- 3,8 milioni alla Padania della Lega Nord
- 3,7 milioni al Manifesto
- 3,5 milioni a Europa, organo ufficiale del PD che prima faceva capo alla Margherita (quella truffata dal suo tesoriere Sergio Lusi)
- 3,4 milioni al Foglio di Giuliano Ferrara
- 3,3 milioni a Liberazione, quotidiano di Rifondazione comunista (che poi ha chiuso i battenti)
- 2,9 milioni al Secolo d’Italia, ex organo del MSI, a lungo conteso fra il Fli di Fini e il Pdl
- 2,8 milioni a Liberal
- 2,5 milioni all’Avanti di Valter Lavitola
- eccetera, eccetera.
Nel complesso 41 milioni a quotidiani di partito (anche se nel frattempo il partito è sparito), soldi non conteggiati nei rimborsi elettorali o nei finanziamenti pubblici. Ma non ci sono solo giornali dei partiti. Per la cronaca, le testate che nel 2010 hanno ricevuto più di un milione di euro sono state 38, alcune delle quali decisamente sconosciute. Il Governo Monti, che inizialmente sembrava aver adottato una linea molto dura su questo argomento, ha ceduto alle insistenze di editori e sindacati, perché non c’è dubbio che senza l’obolo pubblico l’anno scorso moltissimi giornali di partito e/o locali avrebbero chiuso i battenti lasciando a casa giornalisti, poligrafici, stampatori, trasportatori e indirettamente causando anche la chiusura di qualche altra edicola. Il governo ha apparentemente ceduto, ma qualche paletto lo ha messo: i quotidiani che vogliono accedere ai contributi dall’anno scorso devono obbligatoriamente vendere in edicola almeno il 30% della tiratura se nazionali, il 35% se locali (prima bastava dichiarare un sacco di abbonamenti). Il contributo per azienda non può superare quello erogato nel 2010, ci sono limiti ai costi finanziabili, i contributi 2012 non sono già stati corrisposti ma lo saranno (forse) nel 2014 (gli editori vengono pagati come i fornitori della PA, a babbo morto). E si introduce il contributo alle testate on line, purché anche a pagamento, a carico delle regioni.
La crisi non si ferma con l’aiutino
Però malgrado la pioggia di contributi pubblici (per verità promessi, non erogati) nel 2012 i giornalisti espulsi dal mercato (ex contrattualizzati a tempo pieno) sono stati almeno 1.200. Quelli non contrattualizzati o con partita Iva, secondo stime della FNSI (il sindacato di categoria) almeno 2.500, coinvolgendo anche i grandi gruppi televisivi. Nel 2013, con 60 vertenze aperte a inizio anno, i conti rischiano di essere ancora più pesanti. Considerando le altre categorie coinvolte (poligrafici, stampatori) e l’indotto (i giornali vengono trasportati e diffusi quasi sempre da autonomi con partita Iva) si parla di circa mezzo milione di possibili esuberi. Una stima catastrofica da parte sindacale per pesare di più sui tavoli delle trattative?
Una cosa è certa. Gli incentivi dati nel modo in cui sono stati dati fino a oggi non servono né a frenare l’emorragia di copie vendute, né a sostenere posti di lavoro minacciati e, cosa ancora più ironica, di sicuro non servono a creare consenso politico, visto che il partito che ha avuto più successo alle elezioni è stato il Movimento 5 Stelle, l’unico che non influenza neppure una testata sovvenzionata. Bisogna ripensare a come spendere quei soldi e ripensarci subito. Perché nessuno sembra più disposto a vedere i quattrini delle tasse spremuti dalle smunte tasche di cittadini allo stremo andare verso le pingui saccocce di sedicenti editori di oscuri giornali di nessun peso.