Pensione integrativa: polizze o fondi?

In Italia esistono tre categorie di prodotti previdenziali. I primi sono i fondi chiusi, o negoziali, e sono riservati esclusivamente ai dipendenti pubblici o a quelli delle imprese private. I lavoratori autonomi con partita Iva devono invece acquistare necessariamente altre due categorie di strumenti finanziari: i fondi pensione aperti e i Pip (piani individuali pensionistici). I primi sono venduti per lo più dalle banche e dalle società di gestione del risparmio. I Pip, invece, sono polizze create dalle compagnie assicurative, che oggi si stanno ritagliando uno spazio significativo nel mercato della previdenza complementare.
Quale delle due categorie di prodotto è la migliore? Entrambe hanno indubbiamente pregi e difetti che vanno pesati attentamente sul piatto della bilancia. I Pip sono molto più costosi poiché, su ogni versamento del lavoratore, le compagnie trattengono per sé una commissione (o caricamento) pari in media all’1,5%, con punte che superano spesso il 3%. Più modeste sono, invece, le voci di costo dei fondi pensione, che si aggirano sull’1% del capitale.
Con i Pip il capitale è più protetto
Il vantaggio offerto da alcune categorie di Pip è però quello di garantire una maggiore protezione del capitale investito. È il caso delle polizze legate alle Gestioni separate, che investono in fondi amministrati dalla stessa compagnia assicurativa, i quali hanno un profilo molto prudente (il capitale viene infatti impiegato per lo più in titoli di Stato e in obbligazioni di alta qualità).
In media, dal 2007 in poi, questa categoria di prodotti ha reso il 3,6% all’anno, nonostante la crisi dei mercati finanziari. Ciò significa che, investendo 100 euro al mese nei Pip legati alle Gestioni separate, un lavoratore avrebbe oggi (indicativamente) un capitale di poco superiore a 6.400 euro, su 6.000 euro versati. Non è possibile fare un calcolo preciso sui rendimenti ottenuti nell’arco di 10 anni, poiché la maggior parte dei Pip è nata dal 2007 in poi. In linea di massima, ipotizzando un rendimento costante del 3,6% all’anno, chi versa 100 euro al mese deve aspettarsi dopo un decennio un capitale di circa 13.600 euro, su 12.000 versati. Non è moltissimo, ma chi vuole avere i soldi abbastanza protetti deve comunque accontentarsi.
Fondi aperti e mercati ballerini
Diverso è lo scenario per chi, invece, investe nei fondi pensione aperti, soprattutto quelli azionari, che sono molto esposti all’andamento dei mercati. Per questi prodotti è difficile fare una stima precisa del capitale maturato dopo 10 anni di versamenti. Tutto dipende, infatti, dal fondo prescelto e dai guadagni ottenuti dal gestore.
I prodotti più redditizi dell’ultimo decennio (che per le Borse è stato un periodo da dimenticare) sono stati, per esempio, il fondo Axa Mps Previdenza in Azienda (linea Sviluppo) e Previgest Mediolanum Fund (linea obbligazionaria), che hanno registrato un rendimento medio tra il 4 e il 5% ogni 12 mesi. Se la performance di entrambi i prodotti dovesse sempre mantenersi costante attorno a questi livelli, chi investe 100 euro al mese in questi fondi deve aspettarsi dopo 10 anni un capitale di almeno 15.000 euro su 12.000 versati.
Si tratta di ipotesi puramente indicative, che vanno prese con le molle, ma che danno l’idea dei rischi e delle opportunità della previdenza integrativa. Occorre ricordare, però, che non tutti i prodotti previdenziali si sono comportati bene come quelli appena citati. Su oltre 350 fondi aperti venduti in Italia, per esempio, nell’ultimo decennio ben 200 hanno ottenuto un rendimento medio inferiore al 2-2,5%. Per questo motivo, occorre cercare con attenzione i prodotti migliori sul mercato.