Redditometro, il Tribunale di Napoli boccia il Fisco

Come era prevedibile sono arrivati i primi ricorsi dei contribuenti contro l’adozione del redditometro da parte dell’Agenzia delle Entrate. E ai ricorsi sono seguite anche le pronunce dei giudici. La prima sentenza finita sotto i riflettori è quella del Tribunale civile di Napoli che, come riportato dal Corriere della Sera, ha ordinato all’Agenzia delle Entrate “di non intraprendere alcuna ricognizione, archiviazione o comunque attività di conoscenza o utilizzo dei dati”, di “cessarla se iniziata”, e di “distruggere tutti i relativi archivi” se già formati.
Secondo il giudice della sezione distaccata di Pozzuoli, il redditometro determina “la soppressione definitiva del diritto del contribuente e della sua famiglia ad avere una vita privata, a poter gestire autonomamente il proprio denaro, a essere quindi libero nelle proprie determinazioni senza dover essere sottoposto all’invadenza del potere esecutivo, senza dover dare spiegazioni e subire intrusioni su aspetti anche delicatissimi della propria vita privata, quali la spesa farmaceutica, l’educazione e mantenimento della prole, la propria vita sessuale”.
Il Tribunale ha così accolto il ricorso di un contribuente che non voleva che “l’Agenzia venisse a conoscenza di ogni singolo aspetto della propria vita privata”.
Nella decisione il giudice scrive che il redditometro “è non solo illegittimo, ma radicalmente nullo”, “fuori dalla legalità costituzionale e comunitaria”, perché “non individua categorie di contribuenti ma altro, sottoponendo a controllo anche le spese riferibili a soggetti diversi per il solo fatto di essere appartenenti al medesimo nucleo familiare”. Inoltre, il redditometro “non fa alcuna differenziazione tra cluster di contribuenti, ma opera una distinzione familiare di tipologie suddivise per cinque aree geografiche, ricollocando all’interno di ciascuna figure di contribuenti del tutto differenti tra loro”. Infine, sempre secondo il giudice, il redditometro “viola il diritto di difesa in quanto rende impossibile fornire la prova di aver speso meno di quanto risultante dalla media Istat”, perché “non si vede come si possa provare ciò che non si è comprato o non si è fatto».
E siamo solo all’inizio, aspettiamoci altre sentenze sulla stessa linea di quella del giudice napoletano.