Redditometro, ora la Cassazione boccia anche le medie Istat

Non c’è proprio pace per il redditometro. Da qualche tempo infatti è iniziata una lenta, ma micidiale manovra di accerchiamento, che mira a metterne in risalto tutti gli aspetti meno chiari dal punto di vista della legittimità giuridica. Artefici di questa sorta di strategia della delegittimazione non sono i contribuenti, e in prima fila le partite Iva, che pure ne avrebbero tutte le ragioni, bensì tribunali della Repubblica. Si va da un primo giudizio della Cassazione, che aveva messo in discussione il nuovo strumento di accertamento sintetico, alla recente sentenza di un Tribunale civile di Napoli che ha letteralmente bocciato i metodi messi in campo dall’Agenzia delle entrate per combattere l’evasione fiscale, ritenuti lesivi della privacy personale. Ora una nuova bordata, anche se più felpata e indiretta, arriva di nuovo dalla Cassazione, che prende di mira le medie Istat, che si vorrebbero utilizzare nel redditometro, ritenendole inadatte a supportare un’azione di accertamento fiscale. Vediamo perché.
Medie Istat nel redditometro
Fin dalle prime notizie riguardanti il nuovo redditometro si fece un gran parlare del peso che avrebbero avute le spese ordinarie, quelle quotidiane riguardanti ad esempio alimentazione e abbigliamento, nel computo delle uscite di ogni singolo contribuente. L’Agenzia delle entrate si affrettò però a spiegare che non ci sarebbe stato bisogno, come annunciato da qualcuno, conservare gli scontrini delle singole spese giornaliere. Per tutta una serie di rilievi infatti, il fisco non sarebbe venuto a conteggiare i singoli acquisti quotidiani, ma avrebbe fatto affidamento alle medie dell’Istat. Il nostro Istituto statistico infatti ogni anno pubblica resoconti dettagliati nei quali alle varie famiglie italiane, divise per composizione (numero figli) e per dislocazione geografica (Nord, Centro, Sud), imputa una certa spesa media per tutta una serie di beni. Dunque, il fisco, per valutare questo tipo di costi, avrebbe fatto affidamento proprio su questi dati.
Spazio alle polemiche
Questa scelta dell’Agenzia delle entrate è stata però oggetto di critiche fin dall’inizio. Si riteneva infatti che ci potesse essere una famiglia meno propensa a spendere che si sarebbe vista affibbiare una spesa sulla base delle medie Istat che magari si discostava molto dalla realtà. Una polemica sulla quale, neanche a farlo apposta, ora interviene proprio la Cassazione con la sentenza n. 4502 depositata proprio qualche giorno fa. Il giudice supremo, ci si permetta l’espressione, ha deciso di dare il classico colpo al cerchio e poi alla botte. Per una parte ha infatti affermato che l’uso delle medie statistiche, contestate dal contribuente che aveva portato in giudizio la questione, possono essere utilizzate dal fisco. L’unica tutela da riconoscere infatti, in questi casi, è quella dei soggetti attraverso cui la media è stata costruita, che hanno diritto a rimanere anonimi. A chi invece queste medie vengono in un qualche modo applicate, questa stessa riservatezza non è dovuta.
Una notazione clamorosa
Messa così sembrerebbe allora che il fisco possa avere tutte le ragioni per utilizzare le medie Istat in fase di accertamento sintetico. In realtà però la Cassazione nella sua sentenza continua, aggiungendo un codicillo, il colpo alla botte, che ribalta clamorosamente la questione. In modo molto chiaro infatti nella sentenza si legge che le medie Istat, in generale, possono essere usate, ma purché questo avvenga “solo per scopi statistici”. E qui, potremmo dire, casca l’asino. L’accertamento fiscale di un singolo contribuente infatti, quale scopo statistico può avere? Nessuno. Ne discende dunque che se le medie Istat fossero utilizzate per accertare il maggior reddito di un contribuente sarebbero illegittime. Come si vede, non si tratta di una decisione diretta della Cassazione, ma, come accennato, in maniera indiretta ne discende una conseguenza che ancora una volta inficia dalla radice l’uso stesso del redditometro. Ancora una volta sembrano porsi chiaramente le premesse affinché il redditometro nasca già morto. Chissà se il nuovo governo che presto sarà chiamato a guidare il Paese vorrà prenderne atto.