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Schiacciati dalle tasse: 3 aziende su 5 si indebitano per pagare

Banche 25 Febbraio 2013

Complici le elezioni (e il black out delle dichiarazioni dei politici a urne aperte), ha trovato molto risalto la notizia che tre aziende su cinque nel 2012 hanno chiesto prestiti in banca per pagare le tasse e non per fare investimenti produttivi. Questo il dato più rilevante di un sondaggio del Centro studi di Unimpresa, organizzazione che rappresenta 130 mila aziende piccole, medio piccole e microscopiche in Italia. Secondo il comunicato stampa dell’associazione è “un risvolto della crisi finanziaria internazionale e della recessione economica, a cui si è aggiunto, nel nostro Paese, un pesante inasprimento della pressione fiscale”.

 

Per questo ben il 63% delle micro, piccole e medie imprese italiane sarebbe stato costretto a ricorrere a un finanziamento per onorare le scadenze fiscali. In testa alla lista dei balzelli che hanno spinto gli imprenditori a rivolgersi agli istituti di credito c’è, guarda caso, l’Imu. Incrociando i risultati del sondaggio con i dati del dipartimento delle Finanze, secondo cui l’Imu relativa alle imprese è stata pari a 6,3 miliardi di euro, Unimpresa sostiene che per effettuare i versamenti nel 2012 sono stati contratti nuovi prestiti per quasi 4 miliardi di euro (3,96 mld). Tre, in particolare, i comparti dell’economia “strozzati” dal tributo. Sono gli operatori turistici (per gli alberghi), le piccole industrie (per i capannoni) e la grande distribuzione (per i supermercati).

 

Oltre 81.900 pmi associate a Unimpresa, dunque, avrebbero chiesto soldi alle banche lo scorso anno per rispettare le scadenze tributarie. Le rilevazioni sono state effettuate a partire dall’inizio del 2013, attraverso le 60 sedi di Unimpresa sparse su tutto il territorio nazionale. Oltre all’Imu l’altra tassa che mette in difficoltà gli imprenditori italianiè l’Irap , tenuto conto che l’imposta regionale sulle attività produttive si paga anche quando i bilanci sono in perdita. «Tutto ciò genera un triplo effetto negativo sui conti e sulle prospettive di crescita delle aziende» sostiene il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi. «Il primo – spiega Longobardi – è l’apertura di linee di credito destinate a coprire le imposizioni fiscali invece di nuovi investimenti, il che limita la natura stessa dell’attività di impresa. Il secondo problema sorge, poi, alla chiusura degli esercizi commerciali, quando il valore degli immobili posti a garanzia dei “prestiti fiscali” va decurtato in proporzione al valore dell’ipoteca, con una consequenziale riduzione degli attivi di bilancio. Il terzo “guaio” è relativo a eventuali, altri finanziamenti per i quali l’impresa deve affrontare due ordini di problemi: meno garanzie da presentare in banca e un rating più alto che fa inevitabilmente impennare i tassi di interesse». Da sottolineare anche che le imprese, nei primi nove mesi del 2012, secondo la Banca d’Italia hanno visto una contrazione del credito concesso dalle banche del 4,7% rispetto all’anno precedente. I lavoratori autonomi del 3,6%: dunque non soltanto si va in banca per pagare le tasse, ma sempre più spesso le banche il credito neanche lo concedono.

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