Tobin Tax, pronta la tassa per chi investe in Borsa

Una nuova tassa, piccola ma insidiosa, sta per colpire gli investitori di tutta Italia, almeno quelli che comprano e vendono le azioni sul listino della Borsa di Milano. Si chiama Tobin Tax ed è l’imposta sulla negoziazione di titoli quotati a Piazza Affari che entrerà in vigore il 1° marzo. Lo scopo è preciso: mettere le briglie ai mercati finanziari, dove i grandi investitori cercano spesso di speculare al ribasso, portando a casa ricchi guadagni anche quando gli indici sono in picchiata. Dal 1° giugno del 2013, la Tobin Tax (che prende il nome dallo statunitense James Tobin, l’illustre premio Nobel per l’economia che la ideò negli anni ’70), verrà estesa anche alla compravendita di prodotti derivati, cioè quegli strumenti finanziari come opzioni, futures o swap, che di solito sono maneggiati dagli investitori professionisti, per concludere sul mercato delle operazioni sofisticate.
Quanto pesa l’imposta
Mentre la tassa sui derivati sarà riservata a una platea di “pochi eletti”, gli effetti più pesanti per i piccoli risparmiatori saranno causati dall’imposta che colpisce la compravendita di azioni. Di per sé il nuovo balzello sarà abbastanza contenuto: nel 2013, l’aliquota è, infatti, dello 0,12% ( 0,1% nel 2014) e si applicherà sul valore del capitale investito in ogni singolo titolo. Esempio: chi investe 100.000 euro sulle azioni di Eni, pagherà una tassa di 100 euro. Il prelievo scatterà soltanto sull’operazione di vendita. Dunque, chi compra il titolo e lo tiene nel portafoglio per molto tempo, non dovrà versare un euro al fisco, fino a quando non rivenderà l’azione sul mercato.
Titoli esenti
Sulla carta, la Tobin Tax è dunque un’imposta abbastanza innocua che non cambierà certamente la vita agli investitori italiani. Peccato, però, che il Fisco (come spesso avviene nel nostro Paese) abbia usato ancora una volta due pesi e due misure, penalizzando alcuni contribuenti, a vantaggio di altri. La nuova tassa, che debutterà il 1° marzo, colpirà infatti soltanto le azioni di società quotate a Piazza Affari che hanno una capitalizzazione (cioè un valore in Borsa) superiore a 500 milioni di euro. Si tratta, tanto per fare qualche esempio, dei grandi nomi del listino come Eni, Enel, Fiat Generali, IntesaSanPaolo, Unicredit o il Monte dei Paschi di Siena, a cui si aggiungono anche altre aziende di media dimensione come Tod’s o Amplifon. Sono invece escluse le azioni società italiane a piccola capitalizzazione (cioè con un valore in borsa che non supera i 500 milioni di euro) e quelle quotate sui mercati esteri. Ecco, dunque, che viene fuori una contraddizione: non si capisce perché, infatti, chi compra e vende le azioni di Eni dovrebbe pagare la tassa, e non debba invece fare la stessa cosa chi negozia i titoli di una piccola azienda italiana o di un grande gruppo estero come la francese Total, la tedesca Volkswagen.
Fondi e obbligazioni salvi
Quelli sopra descritti, però, non sono gli unici casi in cui la Tobin Tax all’italiana dimostra di essere un po’ “strabica”. Sono infatti esenti dall’imposta anche moltissime altre categorie di prodotti finanziari negoziabili sul mercato, per esempio le obbligazioni, i titoli di Stato o i fondi quotati in Borsa come gli etf (exchange traded fund). Senza dimenticare, infine, un’ultima contraddizione: non verranno soggette al nuovo prelievo neppure le operazioni intraday, cioè gli ordini di acquisto e di vendita eseguiti in Borsa dagli investitori professionisti, che si concludono nell’ambito di una sola giornata. In altre parole, chi si sveglia la mattina e compra un titolo di Piazza Affari, per poi rivenderlo nel pomeriggio prima che il mercato chiuda i battenti, non dovrà pagare la Tobin Tax, a differenza di chi, invece, è abituato a tenere le azioni nel portafoglio per un mese o un anno intero.