Roma, 6 dicembre 2025 – La Corte di Cassazione ha messo i puntini sulle i, ieri, su un tema che tanti operatori del mondo giudiziario aspettavano da tempo: la condizione in questione vale solo per gli strumenti di regolazione della crisi e non per altre procedure. Un chiarimento che arriva in un momento delicato, con molte aziende italiane alle prese con ristrutturazioni e tribunali spesso chiamati a interpretare norme complesse.
Nel dettaglio, la Sezione Prima civile della Cassazione si è pronunciata su un tema che da mesi divideva giuristi e consulenti. Il verdetto – uscito giovedì mattina e subito pubblicato sul sito ufficiale del Palazzaccio – restringe l’ambito di applicazione della condizione agli strumenti di regolazione della crisi d’impresa, escludendo invece altre procedure concorsuali o esecutive.
Il punto chiave, spiegano nella motivazione, è la differenza tra le procedure stragiudiziali come i piani attestati e le forme tradizionali di concordato preventivo o liquidazione giudiziale. “La norma si applica solo agli strumenti previsti dal Codice della Crisi”, si legge nell’ordinanza. Per gli esperti fallimentari questo passaggio mette fine a una lunga stagione di dubbi interpretativi, durata più di un anno.
Le risposte non sono tardate. “Era ora di mettere un punto fermo”, ha commentato a caldo l’avvocato Giovanni Piras, dello studio Lex&Partners di Milano. “Fino a ieri in Italia c’erano approcci diversi nei tribunali, con risultati anche opposti su casi molto simili”.
La questione tocca centinaia di imprese ogni anno – soprattutto nel Nord Est – molte delle quali hanno scelto questi nuovi strumenti per evitare crisi irreversibili. In certi casi i giudici avevano interpretato la norma in modo ampio; in altri erano stati più cauti, aspettando proprio il chiarimento della Suprema Corte.
Anche alcuni sindacati hanno accolto positivamente la decisione. “Serve chiarezza nelle regole”, ha detto in serata Francesca Valenti, delegata Fisac Cgil. “Solo così si possono davvero proteggere i lavoratori e il territorio”.
Ma cosa comporta questo cambiamento? Da ora in poi, chi sceglie uno degli strumenti di regolazione della crisi potrà muoversi con più sicurezza. I creditori sapranno esattamente quali regole seguire nei confronti delle imprese in difficoltà. “Prima rischiavamo una confusione difficile da gestire”, spiega il commercialista Alessandro Fini, esperto in procedure concorsuali.
Per Fini la sentenza influisce anche sui tempi delle pratiche: “Con un accesso più semplice agli strumenti previsti dal Codice della Crisi si può accelerare l’intervento sulla crisi d’impresa. E questo è un dato importante per l’economia reale”.
Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019), entrato gradualmente in vigore negli ultimi anni, ha introdotto novità importanti per intervenire rapidamente nelle situazioni difficili. All’articolo 12 e seguenti si parla proprio degli strumenti di regolazione negoziata, come i piani attestati e gli accordi per ristrutturare i debiti.
Ma come sottolineano i giudici romani, “solo questi strumenti possono godere della condizione indicata dal legislatore”. Le altre procedure restano invece regolate dalle norme ordinarie del codice civile e delle leggi speciali.
A prescindere dai tecnicismi, la decisione della Cassazione potrebbe ridurre il numero di ricorsi davanti ai tribunali fallimentari. Per la presidente dell’Ordine dei Commercialisti di Torino, Maria Pia Gallo, “avere criteri chiari diminuisce il rischio di blocchi nelle procedure e aiuta a gestire le crisi più rapidamente”.
Resta da capire se nei prossimi mesi ci saranno altri interventi normativi o nuove sentenze sulla stessa linea. Per ora – tra gli uffici giudiziari e gli studi legali delle grandi città – si respira un clima diverso: imprese e creditori finalmente hanno una bussola più affidabile tra le tante opzioni offerte dalla legge. E i lavoratori coinvolti nelle crisi guardano con attenzione agli sviluppi che verranno.
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