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Cessione del contratto di lavoro: un’alternativa efficace a licenziamenti e cassa integrazione

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Franco Sidoli

Milano, 17 dicembre 2025 – L’introduzione della clausola di retrocessione nei contratti di lavoro, tema caldo degli ultimi mesi tra aziende e sindacati, sta emergendo come una possibile alternativa sia al licenziamento sia all’uso della cassa integrazione. Questa novità riguarda in particolare il settore industriale lombardo ed è stata confermata ieri pomeriggio durante l’incontro tra Confindustria Lombardia e i principali sindacati alla sede di Assolombarda, in via Pantano.

Clausola di retrocessione: cos’è e perché se ne parla

Secondo i negoziatori, la clausola di retrocessione permette al lavoratore — invece di essere licenziato o messo in cassa integrazione — di accettare un ruolo con livello contrattuale più basso, quindi con mansioni e stipendio ridotti. L’idea è proteggere i posti di lavoro nei momenti di crisi o quando cambia la produzione, come ha spiegato Alberto Negri, responsabile relazioni industriali per Confindustria Lombardia: “La retrocessione aiuta a tenere i dipendenti in azienda nei momenti difficili. È meno drastica del licenziamento”.

Il dibattito è ripreso dopo alcuni casi nelle fabbriche della cintura milanese e bergamasca. Le aziende, strette tra l’urgenza di tagliare i costi e la pressione sociale per evitare licenziamenti, stanno cercando nuove strade per mantenere aperti i posti di lavoro.

Cosa dice la legge: regole e limiti

Ma cosa prevede la legge? La giurisprudenza italiana consente la retrocessione solo se il lavoratore dà un consenso chiaro e scritto. Il rischio che venga usata in modo scorretto è alto, avvertono gli esperti. Silvia Colombo, avvocata milanese esperta di diritto del lavoro, chiarisce: “Ridurre mansioni senza un accordo scritto si può contestare. Solo se il lavoratore sceglie volontariamente la retrocessione questa è valida”.

Negli ultimi cinque anni – secondo il Ministero del Lavoro – l’uso formale della clausola di retrocessione è cresciuto: dalle 420 applicazioni del 2020 a oltre 760 nel 2024, soprattutto nelle medie imprese manifatturiere. Ma non tutti sono convinti. I sindacati temono pressioni su chi è più fragile e chiedono tutele: limiti temporali per la retrocessione, diritto al ritorno al ruolo originario e informazione obbligatoria ai rappresentanti dei lavoratori.

Lavoratori divisi tra paura e rassegnazione

Nei reparti il clima è prudente. Alla Rota Meccanica, vicino a Sesto San Giovanni, molti preferiscono non parlare apertamente. Maria (nome di fantasia), dipendente dal 2011, confessa: “Non mi piace l’idea di guadagnare meno o fare lavori diversi. Ma perdere il posto sarebbe peggio”. La clausola di retrocessione si propone così come una via d’uscita meno dolorosa nelle crisi industriali.

Il tema ha ricevuto nuova spinta da uno studio recente dell’Osservatorio Mercato del Lavoro dell’Università Bicocca. Dall’indagine emerge che il 62% delle imprese vede nella retrocessione uno strumento utile quando cala la domanda. Al contrario, solo il 19% dei lavoratori lo giudica positivamente: troppa incertezza sul futuro e timore per le prospettive professionali.

Cassa integrazione o retrocessione? Le differenze

Un altro confronto importante riguarda la classica cassa integrazione, lo strumento più usato in Italia durante le crisi produttive. Quest’anno più di 230 mila lavoratori lombardi ne hanno usufruito almeno una volta, secondo l’INPS. La cassa tutela il posto ma sospende in tutto o in parte il lavoro e porta a un taglio netto dello stipendio.

La clausola di retrocessione, invece, lascia il lavoratore attivo – anche se con compiti meno qualificati – evitando fermi produttivi. Per molte aziende è una soluzione più sostenibile dal punto di vista economico rispetto ai costi fissi della cassa integrazione. Ma qui arrivano le critiche. Gianni Rossi, segretario regionale Fiom-Cgil Lombardia, mette in guardia: “Si rischia che diventi normale penalizzare i lavoratori nel lungo periodo. Servono controlli severi contro gli abusi”.

Un equilibrio da costruire

Nei prossimi mesi sono attese nuove indicazioni ministeriali e forse un intervento legislativo per chiarire meglio quando e come usare la clausola di retrocessione. Nel frattempo il tavolo lombardo tornerà a riunirsi a gennaio con l’obiettivo – tutt’altro che semplice – di trovare un compromesso tra flessibilità richiesta dalle imprese e tutela dei lavoratori.

Sul fondo restano le incognite dell’economia degli ultimi anni e la pressione costante dei rappresentanti dei dipendenti.

Solo allora si capirà se questa clausola diventerà uno strumento stabile nelle relazioni industriali italiane oppure resterà una soluzione d’emergenza legata alle difficoltà del momento. Per ora il confronto resta aperto tra paure reali e necessità concrete.

Franco Sidoli

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