Commercialisti, funzionari di Stato e furbacchioni

Il Fatto Quotidiano di qualche giorno fa urla allo scandalo perché sarebbero ormai qualche migliaio i proprietari di supercar italiani (Porsche, Ferrari, Maserati, Lamborghini, i mostruosi Suv Hummer, eccetera) che hanno immatricolato il loro veicolo all’estero e circolano con targhe soprattutto rumene o ucraine, un “trucco perfetto” che consente di eludere la supertassa sui motori con potenza superiore a 185 kW imposta dal governo Monti (20 euro di “bollo” in più per ogni kW in eccedenza) nella sua opera sistematica di caccia al centesimo. Il provvedimento si è rivelato un flop spaventoso: Monti aveva annunciato che avrebbe reso 170 milioni di euro, il gettito dell’anno scorso è stato inferiore a 60, senza contare Iva e Irpef perse con il crollo delle vendite delle auto di grossa cilindrata in Italia, a tutto vantaggio dei concessionari tedeschi. Sì, perché il trucco passa per la Germania, dove chi vende le supercar ai clienti italiani trova anche loro prestanome ucraini o rumeni per l’immatricolazione consentendogli di non pagare né superbollo né altre tasse nel paese di residenza.
Insomma, un’elusione diabolica che ricorda quella delle grandi barche da diporto di professionisti e imprenditori italiani che per tutti gli anni Settanta hanno battuto bandiera panamense sfruttando un altro “buco” della nostra legislazione fiscale. E rilanciando una domanda: ma chi è la mente diabolica che concepisce questi trucchi ai danni del Fisco? E perché il Fisco non è mai in grado di reagire prontamente correggendo provvedimenti evidentemente sconclusionati? C’è un fatto assodato e un sospetto. Il fatto assodato è che solo i contribuenti italiani devono passare per forza attraverso un commercialista o un fiscalista per poter pagare le tasse. Per chiarire di cosa stiamo parlando ricordiamo che in Italia (60 milioni di abitanti) gli iscritti all’Ordine dei Dottori commercialisti sono 150mila, a cui andrebbero aggiunti gli esperti contabili e fiscali che dottori commercialisti non sono ma sempre di “mediare” i rapporti dei cittadini col Fisco si occupano. Negli Stati Uniti (300 milioni di abitanti) gli iscritti all’associazione dei Tax Adivisor (i consulenti fiscali) sono circa 15mila.
Se ne deduce che i professionisti che si occupano di organizzare i rapporti tra Fisco e contribuenti in Italia sono più di uno ogni 400 abitanti, negli Stati Uniti sono uno ogni 20mila abitanti. Certo, i dottori commercialisti (che fra l’altro lamentano la sempre maggior concorrenza di Caf – Centri di assistenza fiscale – ed esperti contabili) spiegano più o meno tutti che il loro ruolo «non può essere ridotto solo a quello di intermediari fra i cittadini e il Fisco». Anzi, sono i primi a lamentarsi delle complicazioni, delle inefficienze e delle assurdità della macchina fiscale italiana. Ma è un fatto che l’Italia sia l’unico Paese al mondo dove se non ti avvali di una figura professionale (professionista o società specializzata) non puoi neanche presentare la dichiarazione dei redditi.
Quanto costa questo scherzo agli italiani? Nessuno lo dice volentieri, ma il ricorso sistematico ai professionisti fiscali, fra costi delle parcelle e diseconomie generate dal sistema, costerebbe alle tasche degli italiani, secondo recenti stime delle associazioni dei lavoratori autonomi, almeno 1,5 punti percentuali di Pil, più di 22 miliardi all’anno. Più di tre volte quello che manca al governo Letta per rimandare l’Imu sulla prima casa, rifinanziare la cassa integrazione e sistemare gli esodati.
Certo, la colpa di questa situazione non è dei commercialisti che offrono un servizio indispensabile soprattutto a noi lavoratori autonomi. E qui sorge il sospetto. Non è che gli scherzetti per eludere le norme fiscali, tipo le targhe “esotiche” delle supercar, nascono all’interno dell’amministrazione stessa? Non è che la “manina” che provoca la nascita di norme così facili da aggirare e impossibili da gestire si annida nella stessa Agenzia delle Entrate e nel ministero delle Finanze? È di questi giorni la polemica sulle riforme che non si riescono a fare perché i governi cambiano, ma i dirigenti dei ministeri rimangono gli stessi, nei secoli inamovibili. E norme malfatte, senza dubbio, consentono loro di lavorare meno: Stati Uniti e Italia hanno grossomodo lo stesso numero di funzionari del Fisco in servizio, anche se negli Stati Uniti la popolazione è ben cinque volte superiore. La differenza è che ogni contribuente americano incontra un funzionario del Fisco almeno una volta all’anno per discutere delle tasse che deve pagare e le sanzioni sono un’eccezione. La stragrande maggioranza dei contribuenti italiani (a eccezione di commercialisti e parenti stretti) come è fatto un funzionario del Fisco non lo sa perché non ne ha mai visto uno. Però riceve loro notizie molto spesso attraverso simpatiche cartelle esattoriali targate Equitalia.