Milano, 15 dicembre 2025 – Nel complicato mondo del concordato in continuità, spunta un nuovo nodo: come si individuano davvero i titolari del diritto di voto speciale? Negli ultimi giorni, al Tribunale fallimentare di Milano, si sta discutendo a fondo sulla possibilità – e sui limiti – per certi creditori o soci di esercitare un voto più “pesante” nell’assemblea chiamata a decidere sul piano di ristrutturazione. Un tema che potrebbe cambiare le sorti di diverse aziende lombarde coinvolte in procedure analoghe.
Il punto cruciale è capire chi, e con quali regole, può essere riconosciuto come “titolare di diritto di voto speciale” nel contesto di un concordato in continuità aziendale. Le norme (articolo 177 e seguenti della legge fallimentare) danno indicazioni generali, ma spesso si perdono quando si tratta di casi più complessi, come partecipazioni indirette o trust societari.
Una fonte che segue da vicino la vicenda racconta: «Ci sono gruppi di creditori che mettono in dubbio la legittimità del voto espresso da chi si definisce titolare speciale, ma che altri vedono come votante ordinario». Il rischio, aggiunge la stessa fonte, è che decisioni cruciali vengano prese su basi poco solide. Negli ultimi tempi il tribunale milanese ha ricevuto almeno tre segnalazioni simili, tutte riguardanti aziende del settore metalmeccanico.
Questi dubbi interpretativi non sono roba da poco. Per molte imprese coinvolte nei concordati, il peso del voto speciale può decidere se il piano viene approvato o bocciato. «La possibilità che una minoranza con interessi particolari prevalga», ha spiegato ieri un consulente legale dell’Unione Industriale di Milano, «può ribaltare il principio maggioritario su cui si basa tutta la procedura».
E non riguarda solo le aziende: anche i creditori – soprattutto le banche – devono spesso valutare se impugnare delibere che ritengono irregolari. «Le contestazioni in questa fase delicata stanno aumentando», confida una funzionaria di una banca milanese impegnata in diversi tavoli negoziali.
A complicare il quadro contribuisce la mancanza di uniformità tra i tribunali italiani. Milano, Torino e Roma negli ultimi mesi hanno adottato approcci differenti sulla definizione di titolare con diritto di voto speciale.
Per esempio, a ottobre a Milano il giudice ha chiesto documenti aggiuntivi per verificare chi fosse effettivamente titolare delle quote societarie affidate a un trust. «Solo dopo questa verifica potremo stabilire chi ha diritto al voto speciale», ha scritto nel provvedimento. A Torino invece, in un caso simile, il tribunale ha dato il via libera senza approfondimenti. Queste differenze aumentano l’incertezza e spingono gli operatori a chiedere maggiore chiarezza e coerenza.
Tra avvocati e addetti ai lavori cresce la richiesta di chiarimenti precisi. L’avvocato Marco Brambilla dello studio Bianchi&Partners spiega: «La mancanza di regole chiare scatena contenziosi inutili e mette a rischio la riuscita stessa del concordato». Brambilla sottolinea inoltre che non è solo un problema dei grandi gruppi: anche le imprese medio-piccole faticano a sostenere i costi delle verifiche extra.
Al momento non ci sono segnali ufficiali dal Ministero della Giustizia o dalle principali associazioni di categoria. Qualche rappresentanza locale, come AIDC Lombardia, però ha iniziato colloqui tecnici con magistrati e notai per cercare almeno un minimo accordo sulle procedure per accertare la titolarità del voto speciale.
Senza linee guida chiare, tutto resta in sospeso. Nei prossimi mesi sono attese almeno quattro assemblee tra gennaio e febbraio nelle aziende lombarde interessate. Nel frattempo aumentano le pressioni su tutti i protagonisti – amministratori giudiziari, professionisti e creditori – chiamati a gestire una fase piena di incognite.
«Servono risposte rapide», ripete un manager coinvolto direttamente nella vicenda. Ma per ora si aspetta ancora. Nei corridoi del tribunale circolano più domande che risposte sul vero significato e sull’effettiva portata del diritto di voto speciale nei concordati in continuità.
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