Fabio Rampelli, (Fdi) risponde alle nostre domande

Il 24 e il 25 febbraio saremo chiamati alle urne per le elezioni politiche. La Mia Partita Iva pubblicherà le interviste agli esponenti più rappresentativi dei partiti che si presenteranno agli elettori. Il nostro obiettivo è sapere quali sono le proposte contenute nel loro programma elettorale a favore di noi lavoratori autonomi. Risponde alle nostre domande Fabio Rampelli, del movimento Fratelli d’Italia.
1) Nella stragrande maggioranza dei casi i detentori di partita Iva vivono in assenza di forme di protezione. In particolare sul fronte della disoccupazione (per esempio chi rimane senza lavoro non gode della cassa integrazione) e poi della pensione (per esempio l’imposizione della gestione separata con la legge Fornero passerà nei prossimi anni dall’ attuale 27 al 33%). Qual è la proposta per favorire i lavoratori autonomi?
La prima questione, che penso sia decisiva e dalla quale discendono tutte le altre considerazioni di carattere tecnico, economico, burocratico e previdenziale è che noi crediamo nella centralità del lavoro autonomo e nelle libere professioni. Non siamo mai stati d’accordo con riforme tese a limitare questa autonomia o a far nascere una sottospecie di lavoro autonomo attraverso organizzazioni di società di professionisti per poi trasformarli di fatto in quelli che oggi sono lavoratori dipendenti modificandone quindi la natura anche da un punto di vista culturale e sociale. È vero che i lavoratori autonomi sono in sofferenza perché questa centralità non gli è mai stata riconosciuta, non sono mai stati fatti investimenti tesi a far crescere questa realtà, anche da un punto di vista economico per metterli nella condizione di assumere un ruolo diverso nella economia generale della nazione. Ritengo che da un punto di vista pratico la presenza delle casse sia comunque una garanzia non solo per i professionisti ma sia una garanzia anche per lo Stato perché comunque sono alimentate e si alimentano con i contributi dei vari professionisti e sono in stato di salute: quindi non c’è bisogno di manomettere come qualcuno ha proposto qualcosa che già funziona; si può migliorare, si può regolamentare e si possono trovare, nel caso ce ne fosse bisogno, delle soluzioni. Basterebbe regolamentare meglio invece di immaginare l’assorbimento di queste casse in un calderone più grande e indistinguibile dove tutte le risorse vengono fagocitate dallo Stato e dalle sue esigenze. Questo concetto potrebbe essere particolarmente innovativo: sappiamo ad esempio che l’amministrazione pubblica non ha le risorse economiche per realizzare delle opere talvolta anche previste in collaborazione con il privato. Se noi potessimo ad esempio orientare le risorse economiche delle casse, che spesso vengono utilizzate per investimenti che rischiano di far perdere risparmi ai loro iscritti, su opere in finanza di progetto, da un lato metteremmo a reddito questi fondi e dall’altro comunque daremmo un beneficio alla società perché troveremmo una liquidità per poter realizzare quelle infrastrutture o almeno una parte di quelle infrastrutture di cui il territorio ha bisogno e che non si riescono a realizzare a causa della penuria di finanziamenti.
2) I lavoratori autonomi sono sottoposti a un regime burocratico perverso che sottrae tempo prezioso al loro lavoro. Qual è la proposta per semplificargli la vita?
Attraverso lo snellimento delle procedure con l’immissione delle nuove tecnologie all’interno della Pubblica Amministrazione certificazioni online, silenzio assenso e tutto quello che possa strappare letteralmente il potere ai burocrati; ma c’è un’altra soluzione che a mio giudizio può essere salvifica: ancorare lo stipendio o almeno le premialità di qualunque soggetto che abbia a che fare con la Pubblica Amministrazione, ad alcuni parametri economici. Questa è una proposta un po’ complicata sulla quale noi di FDI stiamo lavorando da qualche mese: non solo gli impiegati, i funzionari, la pubblica amministrazione, i dirigenti o i capi dipartimento, ma anche gli assessori, i sindaci, i presidenti di regione, piuttosto che i parlamentari e i ministri dovrebbero vedere ancorato, come se partecipassero con delle quote azionarie ad una società privata, il proprio dividendo ai risultati. Quindi se i coefficienti di qualità della vita, il tasso di disoccupazione, il prodotto interno lordo, piuttosto che il dato dei consumi o quello dell’evasione fiscale sono parametri positivi significa che ognuno sta facendo bene il proprio mestiere, che l’economia sta crescendo, e quindi anche attraverso questo meccanismo virtuoso si può provare a contrastare il ginepraio incomprensibile di burocrazia che nonostante le varie semplificazioni che sono state fatte in varie epoche resta un osso duro per chiunque voglia intraprendere qualche attività, dai giovani agli imprenditori. Stiamo lavorando a stretto contatto con alcuni manager e con l’ Istat per avere la selezione degli indicatori economici che potremmo inserire in questa specie di paniere. Il principio è che se la società va bene tutti quelli che lavorano con la pubblica amministrazione possono avere un dividendo più alto di quello che magari è quello attuale; se la società va male, e mi pare che al momento si stia andando male, si può arrivare anche a lavorare, nel caso soprattutto dei politici, guadagnando il minimo salariale. È una sfida grande ma consentirebbe un passaggio culturale significativo.
3) Un recente studio del Politecnico di Milano curato dal professor Ranci denuncia il senso di estraneità dei lavoratori autonomi nei confronti dello Stato. A questo si accompagna la certezza, da parte dei lavoratori autonomi, di non avere aspettative dallo Stato. Dato per scontato che il popolo delle partite Iva vota (complessivamente sono circa 5 milioni, ma il numero tende a raddoppiare se si considerano i nuclei familiari), qual è la proposta per non farle vivere ai margini dello Stato?
Il popolo delle Partite Iva è maldestramente considerato soprattutto dalla sinistra un popolo di evasori congeniti e quindi viene trattato come tale ed è un errore clamoroso. Intanto la pressione fiscale è ormai arrivata a tali livelli che rendono fisiologica l’evasione fiscale. Un dato questo che dovrebbe inquietare chiunque ma evidentemente c’è chi se ne lava le mani. È anche per questo che Fratelli d’Italia ha chiesto, tra le proposte programmatiche, di mettere in Costituzione un tetto massimo pari al 40% di pressione fiscale. Lo abbiamo fatto perché riteniamo che lo Stato non possa superare alcuni limiti e che il cittadino, le famiglie, le imprese devono comunque avere una barriera di protezione perché si arriva al punto che lo Stato chiede ai cittadini più tasse di quelle che si possono permettere di pagare riducendoli di fatto in miseria. Questo è inaccettabile e il limite invalicabile va stabilito perché non possiamo pensare che se lo Stato intende diminuire la spesa pubblica che è pari a 870 miliardi di euro pur sapendo di potersene permettere soltanto 650, i 200 miliardi mancanti li vada a cercare dai lavoratori autonomi solo perché si ha sospetto che non paghino le tasse.
4) Ogni anno il Fisco chiede al lavoratore autonomo contemporaneamente al pagamento delle tasse anche la previsione del reddito che avrà accumulato nell’anno fiscale. In sostanza paga le tasse ancora prima di avere incassato quanto gli è dovuto, con l’aggravante di non sapere se incasserà davvero. Qual è la proposta per cambiare la situazione?
La nostra proposta è il contrasto di interessi operando una rivoluzione nel Fisco. Gli studi di settore talvolta sono cinici e falsi per quanto abbiano anche dato dei risultati positivi in alcune fasi e in alcuni settori. Sarebbe molto meglio però se invece che fare delle simulazioni astratte su quello che può spendere una persona anche attraverso l’introduzione di questa cosa ridicola che è il redditest, si facesse in modo di tassare le spese sostenute con la possibilità di detrarle tutte. Così ognuno ha interesse ad avere la fattura perché se la può scaricare. Il meccanismo sarebbe virtuoso e non punitivo e il lavoratore autonomo diventerebbe il primo artefice di una catena di Sant’Antonio dove alla fine tutti ci guadagnano. Evitando quindi inutili processi alle intenzioni e senza mettere nessun Giordano Bruno sul rogo, mi riferisco ovviamente ai lavoratori autonomi. Non presupponiamo che ci siano degli evasori incalliti oltretutto con il gravissimo rischio di colpire non già quelli che esistono e che vanno colpiti e che non vogliono pagare le tasse pur potendoselo permettere ma di infierire su soggetti e categorie che non riescono a dare allo Stato quello che lo Stato gli chiede perché è molto di più di quello che possono permettersi; e questo è intollerabile.
5) Considerato il numero attivo di Partite Iva in Italia, sarebbe doveroso che i lavoratori autonomi fossero rappresentati ai tavoli della concertazione tra governo e parti sociali. Qual è la proposta?
Non so come si possa declinare questa esigenza sacrosanta perché i lavoratori autonomi per definizione sono abbastanza parcellizzati in tanti organismi: talvolta sono piccolissimi sindacati molto poco rappresentativi. Diverse categorie hanno gli ordini professionali ma questi ultimi non hanno funzioni di rappresentanza sindacale quindi comunque bisognerebbe un po’ ridisegnare il quadro generale. È una domanda di fronte alla quale mi sento di dare una risposta affermativa, posto che bisognerebbe capire bene chi potrebbe rappresentarli. Risolto questo quesito mi pare del tutto evidente che trovandoci in uno Stato democratico nel quale tutti dovrebbero essere uguali non si può pensare di concertare le fasi di trasformazione dell’economia e delle regole con tutte le categorie tranne quella dei liberi professionisti perché questa è una discriminazione incostituzionale.
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