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Reddito di cittadinanza? E io pago!

Elezioni 2013 28 Febbraio 2013

Beppe Grillo lo ha detto e ripetuto: uno dei prezzi da pagare per il suo appoggio in Parlamento a qualsiasi parte politica è l’accettazione della sua proposta di un reddito di cittadinanza. Ovvero un salario (in campagna elettorale ha parlato di mille euro al mese) per chi non è in grado di mantenersi da solo. Detto così è bellissimo. Ma quanto costerebbe? Abbiamo provato a fare alcune proiezioni: posto che pagare un salario ha comunque un costo che va oltre la cifra erogata (per esempio per assicurarsi che i soldi vadano proprio alla persona giusta, proprio a chi ne ha diritto) ipotizziamo che dare mille euro al mese, senza tredicesima, a un italiano (e senza tasse e contributi di mezzo) costerebbe allo stato almeno 15 mila euro all’anno. Per dare il reddito di cittadinanza solo ai disoccupati registrati dall’Istat a fine dicembre 2012, circa 3 milioni, lo Stato spenderebbe dunque 45 miliardi di euro: circa due volte il gettito dell’Imu 2012 (che era di 24 miliardi). Se invece di erogare mille euro ne erogasse 500 al mese, costerebbe comunque 27 miliardi. Ma i disoccupati non esaurirebbero la platea di quanti potrebbero aspirare al reddito di cittadinanza. Infatti oltre ai 3 milioni di disoccupati conclamati ci sono quelli con il posto a rischio, almeno 2 milioni secondo Cigl, CislL e Uil: a mille euro al mese si arriva a 75 miliardi di spesa, più di tre volte l’Imu. Ma come si fa a tenere fuori della porta gli inoccupati, che secondo l’Istat a dicembre erano 14,3 milioni? Dando a tutti soltanto 500 euro al mese si arriva alla fantasmagorica cifra di 173 miliardi di euro, più del 10% del Pil. A mille euro al mese si arriva a 290 miliardi. Quei soldi non ce li abbiamo.

 

Mercato del lavoro a rischio collasso

Ma non è solo un ragionamento da contabili che fa storcere il naso a molti. Grillo sostiene che il reddito di cittadinanza «c’è in tutt’Europa salvo in Italia e in Grecia». Non è vero, c’è solo in alcuni Paesi (ricchi) del nord Europa e le condizioni di accesso sono molto limitate: si tratta comunque di un sistema di sussidi che sostituiscono la nostra cassa integrazione o aiutano i giovani a inserirsi nel mercato del lavoro. Storicamente i fallimenti di idee del genere sono stati molti: in Inghilterra il sussidio minimo garantito fu introdotto negli anni Sessanta dal progressista Harold Wilson, attirando giovani “fannulloni” da tutt’Europa e di fatto fu cancellato dalla sera alla mattina da Margaret Thatcher nel 1979. Lo smantellamento del “welfare troppo generoso” (e della tassazione pesantissima che lo accompagnava) è stato uno dei cavalli di battaglia che la hanno portato a un successo elettorale senza precedenti nella storia. Sulla proposta di Grillo le perplessità, espresse sia da destra che da sinistra sono principalmente queste:

  • Rischio di premiare i fannulloni: se si danno soldi in cambio di nulla, perché la gente dovrebbe sforzarsi di lavorare? Mille euro netti al mese sono molti di più di quelli che porta a casa chi ha un lavoro precario in un call center da dieci ore al giorno. Dunque perché lavorare?
  • Premio ai disonesti: chi lavora in nero, risultando disoccupato, porterebbe a casa mille euro al mese in più. Facile prevedere un’esplosione di questi comportamenti.
  • Esplosione del costo del lavoro e delle diseguaglianze. Se mille euro al mese sono quanto prende chi non lavora, nessun lavoro può essere pagato meno di mille euro al mese. Salvo dire che solo gli italiani hanno diritto al sussidio (ma anche i cittadini Ue, altrimenti scatta la procedura di infrazione), finendo così per avere solo lavoratori extracomunitari per tutti i lavori non ultra qualificati
  • Esplosione dei costi fiscali: in questo Paese le tasse sul lavoro sono troppo elevate. Se dovessero scattare meccanismi come il reddito di cittadinanza, inevitabilmente salirebbero ancora. L’Italia rischia molto seriamente di fallire, e a breve
  • Nessun reddito minimo alle partite Iva: disoccupati, dipendenti a rischio, inoccupati potrebbero ambire al reddito di cittadinanza. Le partite Iva, anche se guadagnano meno di mille euro netti al mese, no. Perché con fatica, rischio personale e contro tutte le difficoltà, lavorano, loro.

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