Liberi professionisti, spunta la tassa per i lavori all’estero
Amara sorpresa per tutti i professionisti con partita Iva che svolgono parte della propria attività fuori dall’Italia. Dal primo gennaio 2103 infatti, è scattato l’obbligo di fatturare il contributo previdenziale integrativo su tutto quello che si guadagna all’estero. Fino al 31 dicembre del 2012 infatti, le consulenze che venivano svolte all’estero, nei paesi dell’Unione europea o anche extra-Unione, non erano conteggiati sul volume d’affari ai fini Iva. In questo modo dunque, non c’era bisogno di imputare il famoso contributo integrativo che, mediamente, a seconda delle diverse Casse previdenziali, va dal 2% al 5%, con una media, considerando un po’ tutte le professioni, pari circa del 4%. Ora invece tutto cambia e questo obbligo scatta, come detto, per tutte le fatturazioni estere.
Perdita di competitività
Il primo effetto pratico di questa ennesima tassa camuffata è che inevitabilmente tutti i professionisti italiani che decideranno di lavorare su mercati esteri risulteranno svantaggiati rispetto ai colleghi di altri Paesi. Su un qualsiasi preventivo fatto per un cliente residente all’estero infatti, dovranno calcolare forzatamente questo 4%, che ovviamente renderà il loro preventivo più oneroso. Molto probabile dunque che questa ennesima gabella venga inglobata nel computo generale, diminuendo però in questo modo gli introiti derivanti da questo tipo di consulenze. Insomma, l’ennesimo bastone tra le ruote a chi cerca faticosamente di procurarsi qualche buon cliente anche all’estero.
Quando scatta il contributo integrativo
L’obbligo di fatturare quel circa 4% sulle consulenze scatta, come accennato, quando il cliente per cui un professionista italiano svolgerà un determinato lavoro è soggetto all’Iva e risiede in un paese dell’Unione europea, oppure nel caso di un qualsiasi altro committente di Paesi extra europeo. Se ad esempio un nostro commercialista decidesse di occuparsi della contabilità di un cliente soggetto ad Iva e residente in Germania o Francia, dovrebbe imputargli questo contributo integrativo aggiuntivo. Più complessa invece la situazione quando avremo a che fare con consulenze riguardanti abitazioni. In questo caso a fare testo sarà il luogo di ubicazione dell’immobile. Se esso si trova fuori dall’Ue, allora scatta l’obbligo del contributo. Caso classico ad esempio quello di un architetto che realizzi il progetto di una casa che si trova in Svizzera (Paese esterno dall’Ue) per un committente di un Paese comunitario: in questo caso dovrà aggiungere il 4% in più. Se invece il committente è ad esempio un francese che si trova in Francia ed è soggetto ad Iva, anche in questo caso scatta il contributo. Unico caso esente, e qui la storia si fa ancora più complicata, quella di un immobile che si trovi nell’Unione ma in un Paese diverso da quello del committente: se un ingegnere italiano lavora per un cliente tedesco che ha però la sua casa in Spagna, ebbene in questo caso non ci sarà l’obbligo del contributo.
Categorie soggette o escluse dalla nuova tassa
L’amara novità del contributo aggiuntivo che andrà ad appesantire il peso delle fatture dei professionisti italiani riguarderà le seguenti categorie: chimici, dottori agronomi, dottori forestali, geologi, agrotecnici e periti agrari, avvocati, biologi, consulenti del lavoro, dottori commercialisti ed esperti contabili, geometri, ingegneri e architetti, periti industriali, infermieri professionali, psicologi, veterinari e giornalisti. Saranno invece esclusi dalla nuova normativa tutti gli altri professionisti non soggetti già normalmente al contributo integrativo o quelli non regolamentati, soggetti cioè all’iscrizione nella gestione separata dell’Inps.