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Sconto fatture, le regole che ci legano mani e piedi

Fatture 11 Novembre 2012

Fino al 2008 (e alla crisi) era pratica comune per le aziende e i lavoratori autonomi farsi finanziare dalle banche presentando allo sportello le fatture non ancora scadute come garanzia di prestiti. Avere molti crediti, dunque, era in qualche maniera una strada per avere più facilmente accesso al credito sotto forma di finanziamenti a breve-medio termine o di fidi, al limite anche con il metodo dell’anticipo Ri.Ba (Ricevuta Bancaria).

Questa abitudine è detta, più o meno propriamente:

 

–       sconto fatture, quando la fattura assume la funzione di garanzia del credito concesso dalla banca

–       anticipo fatture, quando la fattura viene invece ceduta alla banca a fronte di un anticipo di denaro “salvo buon fine”: se la fattura, alla fine, non viene incassata dalla banca il creditore è tenuto a restituire quanto ricevuto più eventuali interessi e commissioni. Come vedremo più avanti, di solito l’anticipo si ha al momento dell’emissione della fattura stessa.

 

Ma su questa forma di monetizzazione del credito pesano ora due fattori.

 

L’introduzione delle norme di Basilea

Il primo fattore che ha portato le banche a “tirare il freno” sullo sconto fatture è stato l’entrata in vigore del pacchetto di norme bancarie prudenziali internazionali denominato Basilea 2, che dal 2008 ha costretto tutti gli istituti di credito mondiali (fra cui anche quelli italiani) ad assegnare a ogni cliente un rating (voto), ovvero uno specifico livello di merito di credito. Oggi le banche non possono finanziare una persona o un’azienda senza prima assegnargli un rating misurato in “probabilità di default”, ossia con parametri statistici che definiscono la probabilità che il destinatario del finanziamento non lo restituisca alla scadenza.

Il rating consiste in una serie di valutazioni effettuate a livello centralizzato (non di singola filiale) sul livello di finanziabilità del cliente; le possibilità di deroga concesse alle filiali, le cosiddette valutazioni override, sono in realtà improntate a criteri molto restrittivi e probabilmente lo rimarranno fino alla fine della crisi.

Nel caso dello sconto fatture, poi, il funzionario non deve valutare solo il rating di chi deve essere finanziato (cioè del creditore) ma anche quello della garanzia (cioè del debitore). Di fatto, questo ha portato a limitare molto questa pratica, perché la sua valutazione, anche quando si rivela positiva, è diventata comunque più costosa di quanto non fosse prima di Basilea 2. L’entrata in vigore dell’ulteriore nuovo pacchetto di norme prudenziali sull’attività bancaria, Basilea 3, avvenuto quest’anno, rende se possibile ancora più stringenti i criteri di concessione del credito adottati dalle banche.

 

Aumento degli insoluti

Il secondo fattore è stato innescato dal peggioramento del mercato del credito in generale e dall’aumento degli insoluti in particolare. Oggi le probabilità che una fattura o un prestito bancario non vengano pagati alla scadenza sono aumentate molto rispetto a prima del 2008.

Basti pensare a un indicatore come quello delle sofferenze bancarie nette (cioè dello stock di crediti che non vengono pagati alla scadenza). Secondo l’Abi (l’Associazione bancaria italiana, l’organismo che rappresenta gli istituti di credito nazionali), le sofferenze nette in carico alle banche italiane sono passate da 5,5 miliardi di euro a fine 2007 a 66 miliardi ad agosto 2012. Una crescita di 12 volte in quattro anni e mezzo. In soli due anni, fra il 2009 e il 2011, sempre secondo l’Abi, l’incidenza delle sofferenze sugli impieghi (cioè sui soldi prestati alla clientela) è aumentata del 57%. Fra agosto 2011 e agosto 2012 di oltre il 17%.

È chiaro che le banche, di fronte a numeri di questo tipo, siano diventate molto più diffidenti nel concedere nuovo credito. E in particolare il “credito garantito da altri crediti” è diventato una merce particolarmente svalutata.

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