Bambole non c’è una lira. A pagare siam sempre noi

Va bene, il governo ha annunciato che l’aumento dell’Iva dal 21 al 22% è rimandato almeno fino a ottobre. Il che con questi chiari di luna non era per niente scontato. Ma che uno dei tratti salienti dell’azione economica del governo Letta sia l’altissimo grado di creatività (virtù nazionale, d’accordo, ma entro certi limiti) ormai non è più un’opinione. Infatti, i provvedimenti annunciati dal governo per trovare la copertura del rinvio sono quantomeno bizzarri.
Almeno 550 milioni del miliardo necessario al rinvio di tre mesi dell’Iva vengono direttamente dalle tasche delle partite Iva. Infatti, solo commercianti, professionisti e lavoratori autonomi pagheranno gli aumenti degli acconti Irpef, Ires e Irap di novembre. L’acconto Irpef dal 99 passa al 100% (ma allora che acconto è?) quello Ires dal 100 al 101%. Naturalmente quanto pagato in più verrà scontato nelle dichiarazioni successive, ma il concetto è chiaro: lo Stato lo finanzi tu. Poi i soldi torneranno indietro. Pian piano. Perché chi paga oggi il 101% come anticipo che cosa potrà scontare dal saldo se va necessariamente a credito? Dovrà quantomeno aspettare novembre 2014 per poter scalare la cifra pagata in più quest’anno dal prossimo anticipo. Una pratica quantomeno di dubbia costituzionalità.
Altri 200 milioni sono una stangata mirata alle banche come “acconto sugli interessi su depositi e conti correnti”. Ma siccome i titolari dei depositi e dei conti correnti siamo sempre noi, alla fine a pagare saranno sempre i contribuenti. Dal 2014 scatta anche la tassa sulle sigarette elettroniche che dovrebbe dare, a regime, almeno 110 milioni (58,5% di accisa sulle fialette, più Iva al 21% come le sigarette di vecchio tipo) sempre che nel frattempo i consumi non crollino visto che i prezzi per i clienti più o meno raddoppieranno. In questa (annunciatissima) lotta per la tassazione la hanno avuto vinta i tabaccai, che alla fine venderanno il “nuovo fumo”. Erano in competizione con i farmacisti. Sconfitti, come prevedibile, le centinaia di piccoli imprenditori che hanno aperto negozi di sigarette elettroniche in tutte le città e i paesi e che rischiano, entro l’anno prossimo, di dover chiudere o di doversi dotare di una licenza di tabaccaio.
Sempre sul fronte tasse un altro aumentino “mascherato” (nella conferenza stampa del governo non se ne è parlato), ovvero l’aumento delle marche da bollo, già operativo: quelle da 1,81 euro sono passate a 2 euro, quelle da 14,62 a 16 euro. Un’altra stoccatina alle tasche degli italiani che dovrebbe rendere al governo circa un altro centinaio di milioni.
Siccome il piatto piange (e i gruppi parlamentari sono già sul piede di guerra per modificare i provvedimenti contenuti nel decreto) il governo ha annunciato anche 250 milioni di non meglio identificati tagli alle spese dello Stato fra cui ci dovrebbe essere una sforbiciata agli affitti pagati dalla pubblica amministrazione. Il condizionale è non solo d’obbligo, ma di rigore.
Il tutto è stato annunciato insieme a un piano per il lavoro che si pone l’ambiziosissimo obiettivo di creare 200mila posti di lavoro per i giovani fra i 19 e i 29 anni (e per gli over 50 disoccupati) a patto che non siano diplomati, che non vivano con i genitori (a meno che i genitori non siano a carico loro e non viceversa, dunque esclusi i bamboccioni), che abbiano preferibilmente una famiglia da mantenere e che non lavorino da almeno sei mesi.
In molti si sono chiesti (e hanno chiesto al governo) se dei giovani così esistano sul serio nella realtà italiana e non in qualche libro di Dickens o di Victor Hugo. Il governo, nella compassata persona del ministro Giovannini, ha assicurato che giovani così ci sono, soprattutto al Sud, e che costituiscono un’emergenza sociale. I destinatari del provvedimento godranno di incentivi molto consistenti (detassazione della retribuzione e contributi ridotti fino a due anni) in caso di assunzione a tempo indeterminato. Certo che premiare quelli che non studiano, non lavorano e hanno pure avuto la sciagurata idea di mettere al mondo dei figli sembra un po’ un controsenso. Tanto che qualcuno ha voluto mettere la notizia in relazione con il nuovo studio dell’Onu, diffuso in contemporanea con i nuovi provvedimenti del governo, che vede l’Italia fra i primissimi Paesi al mondo per consumo di cannabis e derivati. Evidentemente, insinuano i maliziosi, anche a livello di istituzioni.