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False partite Iva, ecco cosa dice la legge

Contenziosi 13 Dicembre 2012

Tra gli obiettivi che la legge 92/2012, voluta dal ministro Elsa Fornero e meglio nota come Riforma del mercato del lavoro si propone di raggiungere, c’è sicuramente anche quello di fare chiarezza sulla definizione di partita Iva. L’intento, ammesso ufficialmente dal Governo, è stabilire in maniera chiara che cosa debba intendersi appunto per attività con partita Iva e cosa invece per lavoro subordinato, smascherando quel fenomeno tutto italiano che va sotto il nome di “false” partita Iva. In sostanza accade che molti di noi lavorino sì con una partita Iva, ma in effetti poi svolgono una funzione da lavoratore subordinato. Un fenomeno certamente non raro, anzi tutt’altro, soprattutto in questo periodo di crisi. Secondo i dati forniti dall’Isfol, l’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, a fronte di circa 8,8 milioni di posizioni di partita Iva aperte, delle quali circa 6,5 milioni effettivamente attive, ce ne sarebbero infatti almeno 400mila che dovrebbero essere classificate come fasulle. Un fenomeno diffuso per il semplice fatto che per un datore di lavoro costringere un dipendente ad aprire una partita Iva fa risparmiare un bel po’ di soldi. Non si devono versare i contributi, non sono previste ferie, giorni di malattia e non ci sono tariffe minime da rispettare. Tutte cose che d’altronde noi che lavoriamo con partita Iva conosciamo perfettamente ogni volta che accettiamo una collaborazione.

 

Criteri per definire una partita Iva

Proprio per cercare di arginare questo fenomeno il ministro Fornero ha introdotto per legge tre semplici criteri per smascherare eventuali truffe. Si tratta di tre specifici divieti che riguardano chi possiede realmente una partita Iva:

  1. la collaborazione non deve superare gli 8 mesi in un anno.
  2. il corrispettivo per la collaborazione con il singolo committente non deve andare oltre l’80% dei compensi percepiti nel corso di un intero anno solare.
  3. il collaboratore non deve avere una postazione fissa di lavoro presso la sede dell’azienda per cui lavora, elemento che presupporrebbe una sorta di coordinamento dell’attività.

Se due di questi criteri non vengono rispettati, automaticamente il collaboratore decade dalla posizione di partita Iva e passa a quella di lavoratore subordinato con tutto ciò che ne discende in termini di diritti e doveri a cui sopra abbiamo fatto riferimento. E a proposito di doveri, la nuova legge stabilisce anche che toccherà al committente, ossia all’imprenditore che ha assunto la falsa partita Iva, dimostrare che non sussistono quegli elementi di continuità e di coordinamento del lavoro che presuppongono appunto una collaborazione subordinata.

 

Possibili eccezioni

Come ogni buona legge italiana, anche questa presenta però una serie di eccezioni, che hanno dimostrato fin dall’inizio di potersi prestare a diverse interpretazioni, lasciando qualche incertezza circa la loro corretta applicazione.

Innanzitutto le norme sopra segnalate non valgono per tutti quelli di noi che possiedono una partita Iva e sono però iscritti a un ordine professionale, a un registro, a un albo, ruolo o elenco professionale qualificato.

Le norma sopra citate non si applicano, inoltre, se il nostro reddito è maggiore di 18.663 euro.

Infine, riprendendo proprio quanto definito dalla legge, sono esclusi anche coloro che svolgano prestazioni con “competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività”. Come si vede, in maniera ancora più lampante proprio in questo ultimo caso, si tratta di definizioni che come detto possono lasciare spazio a diverse interpretazioni. E dunque ci sarà bisogno forse di attendere nel tempo qualche pronuncia di giudice del lavoro che, per casi controversi, potrà iniziare a dare l’interpretazione più attendibile della legge.

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