Giovani assunti a tempo indeterminato e partite Iva dimenticate

Trasformare i lavoratori (dipendenti) anziani in figure part time ma con i contributi pagati (dallo Stato) come se lavorassero a tempo pieno per fare largo ai giovani da assumere a tempo indeterminato con vantaggi fiscali e contributivi da parte delle aziende. Al di là di tutti i proclami (Imu sì, Imu no, sospensione ma solo per la prima casa, no, anche per le abitazioni rurali ma non per i capannoni industriali…) la vera proposta cardine del governo Letta per rilanciare il lavoro in Italia è questa.
Idea balzana o condivisibile? Almeno in teoria non è affatto una cattiva idea: visto che i lavoratori che hanno raggiunto i sessant’anni non potranno più andare in pensione come avveniva fino a qualche anno fa (i soldi non ci sono, punto) ma dovranno restare in servizio almeno fino ai 67 anni, tendenzialmente fino ai 70, l’idea di rendere “più morbido” il loro percorso di uscita aprendo spazi per le assunzioni di giovani che oggi nel mondo del lavoro non riescono proprio a entrarci sembra andare nella direzione giusta.
Sembra. Ma le condizioni perché un sistema del genere possa funzionare sono molte e molto difficili da dare per scontate.
La prima perplessità è quella espressa dal ministro del Lavoro Enrico Giovannini parlandone in televisione. Giovannini, già presidente dell’Istat e una delle teste più lucide dell’esecutivo Letta, ha spiegato che ipotizzare una misura del genere è totalmente inutile «se non c’è un minimo di ripresa economica». Perché se non c’è ripresa (e i dati, proprio dell’Istat, descrivono un Paese che economicamente continua a sprofondare e ci dicono che per il 2013 sarà molto difficile una ripresa se non cambiano i fondamentali economici) le aziende non assumono proprio nessuno, non solo i giovani. Anzi, continuano a chiudere al ritmo di 42 fallimenti al giorno, tendenzialmente in aumento (dati Cerved). I vecchi, invece, da un’uscita “morbida” rischiano di trovarsi un calcio nel sedere e di dover andare ad aumentare la platea degli esodati, senza lavoro né pensione.
La seconda perplessità è che non si può continuare a ragionare solo in termini di lavoratori dipendenti. Questo Paese ormai è fatto di dipendenti ma, non dimentichiamolo, anche di partite Iva. Per questo, qualsiasi misura sociale deve prevedere anche un aiuto per gli autonomi se vuole definirsi equa. Non è soltanto una rivendicazione di categoria: il “dramma degli esodati” a geometria variabile, coi numeri che si gonfiano e che si sgonfiano a seconda di chi li mette in campo, sarebbe potenzialmente una bomba atomica sociale. Se non fosse che in talia chi ha più di 45 anni e ha perso il lavoro, negli ultimi 20 anni, si è rimboccato le maniche mettendosi in proprio, riuscendo a stare in piedi e spesso anche a mantenere la famiglia.
Detto questo, gli economisti ormai sembrano stranamente tutti d’accordo (il che di solito è un pessimo segnale): se l’Eurozona non molla un po’ sui parametri del rigore, stampando un po’ di euro per iniettare liquidità nel sistema, almeno per tutto il 2013 la crisi continuerà a mordere sempre più a fondo non risparmiando nessuno, qualsiasi cosa riesca a fare questo governo…