Gli studi di settore non si applicano automaticamente
Nuovo duro intervento della Corte di Cassazione contro gli studi di settore e a difesa di un contribuente. Un fatto che sembra accadere sempre più spesso, a testimonianza di un Fisco sempre più aggressivo e invadente a cui solo l’intervento della giustizia ordinaria sembra poter mettere un freno. E ancora al centro della diatriba c’è l’uso sconsiderato degli studi di settore che, secondo la Cassazione, non può avvenire in maniera automatica, ma deve sempre tenere conte delle situazioni reali. Un concetto tanto semplice che sembra proprio non voler entrare nella testa dei tanti burocrati fiscali più interessati a numeri e parametri che non a storie di faticosa vita professionale realmente vissuta. Ma andiamo per ordine e iniziamo dall’ultimo caso preso in esame dalla Suprema Corte.
Un solo committente, è reato?
Tutto inizia con la vicenda di una insegnante di inglese libera professionista, il cui problema, secondo il Fisco, era quello di avere un solo committente. Nel caso specifico si trattava di un’azienda multinazionale molto famosa, la Siemens, presso la quale l’insegnante in questione prestava la sua opera. Ebbene, applicando in maniera automatica gli studi di settore e i parametri a esso connessi, risultava per la professionista in questione uno scostamento rilevante tale da far scattare automaticamente un accertamento fiscale. Il tutto favorito dal sospetto che la contribuente avesse un solo cliente. L’insegnante non si perde d’animo, fa ricorso e le commissioni tributarie gli danno ragione sia in primo che in secondo grado. L’amministrazione fiscale non si arrende e decide di ricorrere presso la Cassazione.
Le ragioni dell’Agenzia delle Entrate
Il ricorso si basava su due precisi assunti. Innanzitutto, secondo il Fisco, doveva essere l’insegnante a provare che lo scostamento dai parametri di reddito fossero in un qualche modo giustificati. Un onere che non poteva spettare agli ispettori fiscali come avevano stabilito le commissioni tributarie. In secondo luogo, il Fisco sosteneva che a essere messo in dubbio non fosse il fatto che l’insegnante avesse dichiarato tutti i redditi percepiti dalla Siemens, ma che piuttosto ci dovessero essere per forza altri committenti, se non altro per la natura stessa di un lavoro, che se esercitato come libera professionista generalmente porta ad avere più clienti.
La Cassazione respinge il ricorso
La Suprema corte ha dato ragione alla contribuente e richiamandosi ai principi che più volte sono stati tirati in ballo in passato quando si è trattato di studi di settore e parametri di reddito. Con la sentenza numero 8059 depositata qualche giorno fa, la Cassazione ha stabilito che non è possibile applicare in maniera automatica gli studi di settore. Questo comportamento, infatti, discenderebbe da una “una visione distorta dell’accertamento parametrico” (testuale). Secondo il giudice, non si possono applicare in via automatica dei parametri numerici, costringendo il contribuente a dimostrare il contrario. L’uso degli studi di settore deve essere sempre commisurato alla realtà dei fatti e, soprattutto, deve essere sempre il Fisco a portare le prove della possibile evasione e non il lavoratore autonomo. Tra l’altro, nel caso specifico si giungeva al paradosso, per cui l’insegnante di inglese avrebbe dovuto dimostrare di non avere altri clienti, cioè una sorta di prova al negativo, mentre generalmente quello che si fa è nascondere guadagni non dichiarati. Insomma, l’ennesimo richiamo della Cassazione al Fisco ad avere maggiore senso della realtà. Un monito quanto mai utile in un periodo di crisi in cui tante partite Iva faticano ad arrivare a fine mese.