Governo Letta, fischi dei commercianti e finanza creativa
«Mi piacerebbe dire che non aumenteremo l’Iva, ma non posso». È ormai diventato un ritornello quello che ha pronunciato il ministro dello Sviluppo Economico, Flavio Zanonato, davanti all’assemblea annuale di Confcommercio, suscitando un boato di fischi e di contestazioni.
Da parte del ministro una mossa improvvida, scarsa diplomazia o sano realismo? Di sicuro una mossa spiazzante, che il vice premier Angelino Alfano si è affrettato a smentire dicendo che «Le risorse per evitare l’aumento dell’Iva dal 21 al 22% il primo luglio si troveranno: l’accordo politico c’è già», mentre il portavoce del suo partito Renato Brunetta sosteneva «bastano due miliardi, vedremo di trovarli». Ma non erano quattro, come aveva appena detto Zanonato? E solo per il 2013? E perché insistere con questo provvedimento se ormai è chiaro che l’ultimo aumento dell’Iva, dal 20 al 21%, di gettito nelle casse dello Stato ne ha portato di meno e non di più, complice il crollo dei consumi che l’Istat continua a fotografare? Solo per una decisione – lo ricordiamo – presa nel lontano luglio 2011 dall’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti?
I conti non tornano
Comunque si guardi la questione i conti non tornano. Infatti, mentre Zanonato si prendeva i fischi dei commercianti il capo del suo governo Enrico Letta davanti alla Cisl prometteva un miliardo (di cui 500 milioni di fondi europei) per rilanciare il lavoro (dipendente) giovanile e nuovi rimaneggiamenti alla legge Fornero sul lavoro precario, parlando di nuovi interventi per abbattere il cuneo fiscale. Nel frattempo Brunetta rilanciava sull’abolizione dell’Imu sulla prima casa (per adesso c’è stata solo la sospensione della rata di giugno), altri 4 miliardi da trovare quest’anno.
Per adesso parole, parole, parole. Fatti pochissimi se non che la pressione fiscale complessiva su autonomi e imprese avrebbe raggiunto in alcune parti d’Italia il 74% del reddito (lo afferma Repubblica) e che il presidente della Bce Mario Draghi ha lanciato un altro allarme al governo attraverso il suo bollettino mensile, dicendo che l’Italia deve «attenersi con rigore al percorso di moderazione del disavanzo specificato nell’aggiornamento per il 2013 affinché non venga di nuovo superato il valore di riferimento del 3% del rapporto deficit/Pil anche nel 2014», anche perché «le esportazioni italiane nei primi sei mesi del 2013 sono scese molto più del previsto». In altre parole: occhio che non potete scucire niente a nessuno, i quattrini non ci stanno, le politiche di rilancio sarà meglio che ve le immaginiate a partire dalla metà del 2014, ma se non rilanciate continuerete a perdere gettito e occupati. Insomma, c’è da stare allegri. Con l’unica nota positiva che nel frattempo lo spread fra i rendimenti dei nostri titoli di Stato e quelli tedeschi sembra essere sotto controllo. Sempre che la sentenza della Corte costituzionale tedesca, attesa nei prossimi giorni, non faccia saltare il meccanismo di difesa (“scudo”) della Bce per stabilizzare i prezzi.
Toccato il fondo
Siamo probabilmente nel punto più basso della crisi. In questa situazione terrificante che il governo italiano cerchi di prendere tempo su tutti i fronti non sorprende, nel tentativo di evitare un collasso economico e politico insieme. Più sorprendente l’ultima mossa del ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni per fare cassa. Fra la pletora di notizie economiche negative, almeno una apparentemente positiva: «L’economia mostra sintomi di ripresa nel terzo trimestre, abbiamo dato il via per decreto al rimborso dei debiti della Pubblica Amministrazione verso le aziende fornitrici». Tutto bene, dunque? Se non che il rimborso autorizzato è per 30,1 miliardi e non di 40,1 come sempre dichiarato dal governo. Saccomanni, quanto meno, dimostra di essere molto creativo nell’applicazione delle decisioni collegiali. Speriamo almeno che quei soldi in meno restituiti alle imprese servano per evitare l’aumento dell’Iva.