Il grido di dolore di una partita Iva strangolata dallo Stato
Qualche giorno fa nel blog di Beppe Severgnini sul Corriere della sera, è apparsa la lettera di un nostro collega con Partita Iva.
Riportiamo integralmente il testo perchè riteniamo giusto dare visibilità a una voce che fotografa la situazione di tanti lavoratori autonomi. Eccolo:
“Caro Bsev, ho un problema. Lavoro per conto mio: ho la partita IVA. Nel 2012, è arrivato, finalmente, lavoro in abbondanza. Io lavoro esclusivamente per aziende: tutto viene fatturato. Alle correnti tariffe di mercato ho prodotto un reddito lordo di circa 50.000 euro. Per me, abituato come ero abituato, non è male. Il commercialista mi ha appena comunicato quanto dovrò versare da qui a novembre, tra saldo e anticipo: 22.900 euro tra imposte e contributi previdenziali. Questo dopo che, sul fatturato, è già stato versato il 20% di ritenuta d’acconto: che fanno altri 12.000: 34.900. In percentuale sul lordo, fa 69,8%. Per mettere insieme 50.000 euro ho lavorato sabati, domeniche, alcune notti, ho fatto trasferte paurose. Lo stato, per mantenere vizi e stravizi dei vari Trota, Batman, Formigoni e Minetti, se ne porta via più di due terzi. Per inciso: non potrò pagare, ovviamente. Sto ancora arrancando dietro imposte e contributi dell’anno scorso, poi ho una rata da 250 euro mensili con Equitalia; ed ho una rata da oltre 300 euro con una finanziaria, per un finanziamento chiesto ed ottenuto per pagare le tasse di 5 o 6 anni fa, non ricordo. Sono professionista (faccio il programmatore di computer): non posso fallire, non posso delocalizzare. L’unica cosa che potrei fare, e che probabilmente farò, sarà vendere l’appartamento di città dove vivono due figli venticinquenni e la ex moglie (io vivo in affitto), vendere la casetta di montagna ereditata da mio padre due anni fa, e sparire in uno di quei paesi dove si vive con pochissimo. Severgnini, lei dice, ai bravi ragazzi volenterosi che vogliono emigrare, di non farlo, e, se lo fanno, di tornare presto; io dico loro: “Andate fino a che siete in tempo. Quando avrete 50 anni (io ne ho 55), vi morderete le mani per non averlo fatto. L’Italia è un paese perduto. Lasciate i Trota, i Batman, i Formigoni e le Minetti al loro destino, e costruitevi una vita dignitosa altrove. L’Italia è morta”. Cordiali saluti, Aldo Marchioni.”
La lettera non lascia spazio a dubbi: è drammaticamente verosimile. Un programmatore è, di fatto, iscritto alla Gestione separata Inps che prevede una quota del 27,72% sul reddito netto. Una quota che è certamente la più alta nella schiera dei lavoratori autonomi. A questo va aggunto il fatto che un lavoratore autonomo che vende la propria professionalità non ha grandi costi da scaricare, perchè non acquista e rivende materiale. Egli vende principalmente il proprio tempo, sacrificando spesso anche sabati, domeniche, notti, feste comandate e viene, proprio per questo, ulteriormente penalizzato dal macigno fiscale italiano. Ma quella che ci viene da pensare è anche un’altra cosa: dov’era il commercialista di questo signore quando trimestralmente gli portava le fatture di vendita e non trovava costi da scaricare? Perchè non gli ha detto che spesso conviene lavorare meno piuttosto che aggiungere reddito e tasse?
Dal tenore della lettera capiamo che il nostro collega si è accorto della batosta solo quando il danno era già stato fatto. A questo punto è naturale, legittimo e comprensibile pensare di abbandonare per sempre questo paese e cercare fortuna altrove. Ma vogliamo davvero darla vinta ai vari Trota, Batman, Formigoni e Minetti del caso?
Ecco il link alla lettera sul Corriere della sera.