Imu, per capannoni e negozi c’è solo la deducibilità

Niente da fare. Nonostante tanti piccoli e grandi imprenditori e commercianti, spalleggiati dalle associazioni di categoria, avessero chiesto al governo di sospendere anche per capannoni e negozi la rata di giugno dell’Imu, il governo ha deciso diversamente. Con il decreto ufficializzato venerdì 17 maggio, il congelamento della prima rata ci sarà solo per le prime case, escluse quelle di lusso insieme a castelli e palazzi di pregio. Gli immobili produttivi, invece, dovranno pagare regolarmente e sarà anche una bella mazzata. Infatti con il passaggio dalla vecchia Ici del 2011, alla nuova Imu, già l’anno scorso, ma soprattutto quest’anno, complice soprattutto la rivalutazione catastale cui gli immobili sono stati soggetti, si sono registrati aumenti dell’Imu per le imprese finanche del 200%.
Soldi che vanno allo Stato centrale
Sulla decisione di non sospendere l’Imu per i cosiddetti immobili di fascia D, appunto quelli strumentali utilizzati cioè nell’attività lavorativa, un ruolo rilevante l’ha giocato anche la questione che questa parte di Imu in effetti non finisce, come il resto (prime e seconde case) nella casse dei Comuni, bensì in quelle centrali dello Stato. E quest’ultimo non poteva certo fare a meno in questo periodo di crisi di entrate che risultano fondamentali per la propria sopravvivenza. Di qui la decisione di lasciare da una parte invariate le cose, dall’altra di offrire alle imprese un contentino. Nel programma che si è infatti dato il governo e che prevede per il prossimo 31 agosto una revisione completa della tassazione immobiliare, per gli immobili strumentali dovrebbe essere introdotta la cosiddetta deducibilità.
Addio alla vergogna di una doppia tassazione
La novità consisterà nel poter dedurre dal reddito d’impresa il valore dell’Imu pagata. Si tratta purtroppo di una scelta che lascia fuori gran parte del lavoro autonomo e che fin d’ora grida vendetta, soprattutto per tutti quei professionisti che utilizzano uffici e immobili vari per la propria attività. Questa sarà la prossima battaglia da combattere. Per ora ci si deve accontentare di una decisione che quantomeno dovrebbe sanare una situazione inaccettabile. Il pagamento dell’Imu (o meglio della vecchia Ici) infatti, finora non si poteva scaricare dal reddito dell’impresa su cui l’imprenditore andava a pagare poi le tasse. La scelta iniziale era dovuta al rischio che le imposte locali diventassero superiori a quelle che finivano allo Stato centrale. Si creava però il paradosso di dover pagare un’imposta su una ricchezza una cui parte di tassazione era stata già versata localmente. Insomma, una tassa sulla tassa. Con il paradosso che qualche impresa avrebbe potuto pagare al Fisco qualcosa anche quando avesse chiuso in perdita proprio a causa del pagamento dell’Imu. Con la revisione del Fisco immobiliare, messa in conto dal nuovo governo, questa normativa dovrebbe dunque essere cambiata e almeno per gli imprenditori ci sarà un piccolo sollievo. Quanto dovremo aspettare invece affinché tutti quelli che lavorano, partite Iva comprese ovviamente, possano ottenere benefici fiscali dagli immobili che utilizzano per la propria attività? Di più. In un periodo di crisi come quello attuale, non avrebbe potuto essere proprio questa la strada da seguire per ridare un po’ di ossigeno all’economia? Era quello che chiedevano in tanti, ma ancora una volta la coperta è risultata troppo corta, e si è finito per accontentare solo una parte dei contribuenti, forse anche per evidenti ragioni di consenso politico.