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La storia di Giovanni perseguitato dagli avvoltoi di Equitalia

Agenzia delle Entrate 8 Maggio 2013 Salvatore Viola

La telefonata di un nostro lettore arriva intorno alle 17. “Ho una storia assurda da raccontarvi: vorrei che la mia vicenda fosse resa pubblica perché altri sappiano come funzionano le cose in Italia”.

Dopo circa un’ora eravamo seduti davanti a un bar con il nostro amico che da ora chiameremo Giovanni. “Desidero che il mio nome non sia reso pubblico. E le spiego subito il motivo: ho un locale, molta gente mi conosce e quando hai a che fare con Equitalia puoi aspettarti di tutto”.

Equitalia, appunto. Proprio da qui parte la storia di Giovanni.

 

“Io sono un cuoco, ho un ristorante e fino a qualche tempo fa, sapevo che per tirare avanti era sufficiente conoscere bene il proprio mestiere. Sapevo che alla fine del mese bisognava pagare i fornitori, i dipendenti e le tasse. Quello che rimaneva in cassa era il mio risparmio. Ormai le cose non stanno più così. Il lavoro è calato, le spese no. Così ogni mese, come tanti miei colleghi, faccio una fatica boia per tirare fuori il denaro che serve a pagare tutto. Eppure cerco di comportarmi sempre nel migliore dei modi. Tuttavia rimane  sempre l’impressione costante che mi stia sfuggendo qualcosa.

 

L’impressione diventa certezza tre mesi fa, quando si presenta alla porta un ufficiale giudiziario con un decreto penale per mancato pagamento di contributi Inps ai dipendenti. Sento il terreno mancarmi sotto i piedi. Sapevo che non pagare i contributi ai dipendenti è reato penale ed ero stato sempre attento, ma tra le mille cose da fare forse quest’adempienza mi era sfuggita, anche se ero quasi certo di aver sempre pagato tutto.

 

Il 7 Febbraio mi presento in tribunale per una prima udienza e racconto tutto al giudice con la massima sincerità. Se non ho pagato non è stato certo per malafede o perché ho portato i miei soldi all’estero. Io sono un piccolo imprenditore e in questo periodo faccio molta fatica a tenere in piedi la mia attività. Trattandosi di circa 5.000 euro il giudice si dimostra comprensivo e mi di dice di saldare il pagamento entro 90 giorni per chiudere la faccenda e cancellare così anche la denuncia penale. In un Paese normale questo dovrebbe rappresentare la fine della faccenda, ma in Italia è solo l’inizio di un’Odissea.

 

Mi presento immediatamente all’Inps per pagare, ma mi dicono che la pratica è stata passata a Equitalia, così vado da loro e porto con me 5.000 euro in contanti. Chi mi riceve dice che il pagamento non può essere accettato per due motivi: primo perché quella cifra non può essere pagata in contanti ma con assegno o con bancomat. È vero! Quello che però mi sconvolge è il secondo motivo: non si trovano riferimenti alla pratica. Devo ritornare all’Inps.

 

Comincia una lunga spola fra i due enti che mi fanno rimbalzare come una pallina da ping pong senza riuscire a ritrovare la documentazione per registrare il pagamento. A questo punto sia io che moglie veniamo presi dalla disperazione. Trovarsi a che fare con un reato penale quando hai sempre lavorato in maniera corretta e scrupolosa sconvolge la vita.

 

Frugando fra la nostra documentazione, riusciamo finalmente a ritrovare una vecchia cartella e la portiamo all’Inps. È un mancato pagamento di 9 euro che però adesso è diventato di 850. Paghiamo subito, ma ci assale un dubbio tremendo: se 9 euro sono diventati 850, il nostro debito di 5.000 euro quanto sarà adesso? Passiamo nottate insonni perché la scadenza dei 90 giorni sta per arrivare e noi non abbiamo ancora pagato. Poi, inaspettatamente, durante l’ennesima visita all’Inps, un dipendente scrupoloso, vedendo la nostra ansia, comincia a indagare e scopre una cosa che ha dell’incredibile: non abbiamo nessun debito! Abbiamo pagato tutto, ci sono le ricevute. Però lo abbiamo fatto in ritardo, quando Equitalia aveva già mandato avanti la procedura di recupero. La cosa assurda è che i due enti non hanno mai dialogato fra loro. Mentre l’Inps incassava, Equitalia cercava di recuperare”.

 

La storia del nostro lettore ha dell’incredibile, ma solo se veniamo da un altro Paese. Purtroppo in Italia queste cose succedono e non c’è nulla che tuteli il cittadino da un sistema così perverso, nulla che prenda anche minimamente in considerazione lo stato d’animo di una persona comune che si trova catapultata improvvisamente fra avvocati, giudici e avvoltoi del Fisco. Tra l’altro, il nostro amico Giovanni, pur non avendo commesso nulla, dopo aver perso tempo e serenità ha dovuto pagare anche 900 euro all’avvocato che lo ha assistito quando si è presentato in tribunale.

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