Le tasse? Noi le paghiamo, le multinazionali no
Sappiamo di fare una domanda fin troppo scontata, ma se vi chiedessimo di sapere chi paga le tasse nel nostro Paese cosa rispondereste? Noi, ovviamente noi partite Iva, ossia noi pesci piccoli. Questa semplice constatazione di un fatto per lungo tempo è stata bellamente negata, soprattutto a livello politico. Si è anzi affermato che eravamo proprio noi, piccoli imprenditori, lavoratori autonomi e professionisti, ad essere lo zoccolo duro dell’evasione. Ebbene, finalmente pare che qualcosa stia cambiando, soprattutto a livello internazionale, e speriamo che presto anche la nostra classe politica se ne accorga. Secondo un autorevole rapporto dell’Ocse,l’ Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, denominato Beps (Base erosion and profit shifting), risulta in pratica che nei Paesi occidentali, e in particolare in Europa, a pagare le tasse siano soprattutto le piccole imprese e appunto le piccole partite Iva. Lo studio fornisce anche dei numeri impressionanti, secondo i quali mentre noi pesci piccoli pagheremmo in media il 30% di imposte sui redditi conseguiti (e noi sappiamo tra l’altro che in Italia questa cifra sale e anche di molto…), le grandi multinazionali, attraverso tutta una serie di sotterfugi fiscali, se la caverebbero con uno striminzito 5%.
Una situazione divenuta ormai intollerabile. Tanto che i ministri economici di Germania, Gran Bretagna e Francia si sono alleati in uno sforzo comune che mira a fare in modo che non solo le grandi multinazionali paghino il dovuto, ma che lo versino anche nel Paese in cui effettivamente svolgono la loro attività.
Le strategie dei giganti
In questo senso uno dei casi più emblematici registratisi negli ultimi tempi, ma solo uno tra i tanti esempi, è quello di Google. Il celeberrimo colosso di Internet infatti, recentemente è stato al centro di un accesa polemica proprio in Germania. Al momento di pagare le tasse infatti, la Google Deutschland ha affermato di rappresentare in loco una semplice società di servizi e che la sede legale dell’azienda si trovava in Irlanda. La ragione è presto spiegata: in quest’ultimo Paese infatti l’aliquota fiscale societaria è pari al 12,5% mentre in Germania è del 29%. Non c’è che dire, un bel risparmio fatto a spese di tutti i piccoli e onesti contribuenti tedeschi.
Una procedura che d’altronde si ripete anche in Italia, e che vede sullo stesso piano, oltre a Google, colossi del calibro di Amazon o Microsoft. E non stiamo parlando di bruscolini. Recentemente infatti nel corso di un’operazione di recupero di gettito fiscale per operazioni finanziarie avvenute tra l’Italia e Paesi stranieri, il fisco è riuscito a racimolare in poco tempo qualcosa come 1,6 miliardi di euro.
Non vorremmo accusare nessuno di evasione fiscale, ma di certo c’è qualcuno, e sono i pesci grandi, che giocando a proprio piacimento con regole fiscali ballerine nei vari Paesi europei, e non solo, riescono a pagare briciole rispetto a quello che davvero gli toccherebbe. Noi invece non solo siamo costretti a pagare quello che l’esoso fisco italiano ci impone, ma dobbiamo anche sorbirci l’accusa frequente di evasione. Quello che chiediamo allora è che al più presto, il nuovo governo che si insedierà, prenda contatti con Germania, Francia e Gran Bretagna, e partecipi a questa azione di repressione nei confronti delle cattive abitudini fiscali delle multinazionali. Chissà che non basterebbe anche solo questo a recuperare una larga fetta di quel gettito fiscale che ogni anno manca all’appello. E chissà che così non ci risparmieremmo qualche nuova stangata, sempre in agguato quando i conti dello Stato non tornano.