L’Europa ordina il governo obbedisce: a ottobre Iva al 22%
Una robusta tirata d’orecchi. Sì proprio come quella che si faceva una volta agli alunni somari. Questo si è meritato l’Italia dalla Commissione europea, che per bocca del commissario agli Affari economici Olli Rehn in visita nel nostro Paese, ha ribadito con durezza che siamo ancora sotto stretta osservazione. I nostri conti pubblici rischiano di sforare il fatidico rapporto del 3% tra deficit e Pil, quindi è necessaria una brusca sterzata. E a rimetterci sarà lo slittamento del rialzo dell’Iva, che da ottobre prossimo sarebbe dovuto scattare a gennaio del 2014. Niente da fare. Il miliardo di euro che serve per la copertura non si trova e allora via libera all’aumento fin da subito.
Un ministro tra incudine e martello
A finire nell’occhio del ciclone così è il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, oggetto di critiche tanto dal Pdl che dal Pd, i principali soggetti della maggioranza di governo, che rimproverano all’ex dirigente della Banca d’Italia di non aver fatto il possibile per trovare i fondi necessari ad annullare l’aumento dell’Iva. Saccomanni, però, non ci sta a finire triturato tra un’Unione europea che chiede conti in regola, e una maggioranza parlamentare che invece vorrebbe tagliare tasse senza copertura. E dunque ha messo le sue dimissioni sul tavolo, come a dire che non c’è alternativa all’aumento dell’imposta sui consumi.
Imu, una taglio che costa caro
A maggior ragione se si intende proseguire sulla strada dell’abolizione dell’Imu sulla prima casa. Abbonata la prima rata di giugno, ora il governo è alle prese con il difficile compito di trovare i 2,5 miliardi necessari anche ad annullare il secondo versamento, quello di dicembre. Se a questo si aggiungono poi i fondi che l’esecutivo ha deciso di destinare alle politiche per il lavoro, si mettono insieme circa 5-6 miliardi di euro, per i quali il miliardo a favore dell’Iva risulterebbe come la classica goccia che fa traboccare il vaso.
Puntare all’abbattimento del cuneo fiscale
In questo senso allora il governo, di fronte a un bilancio sempre più stretto e a un’Europa sempre più incalzante, ha dovuto fare delle scelte. Difficili, ma inevitabili. E al momento, salvo sorprese dell’ultima ora, il responso è chiaro. Via libera all’abolizione della seconda rata dell’Imu e no al taglio dell’Iva. In mezzo anche la volontà ferma, ribadita più volte dal presidente del Consiglio Enrico Letta, di puntare su misure che ridiano fiato all’occupazione. Di qui il progetto di preservare una quota significativa di risorse per intervenire sul cosiddetto cuneo fiscale, ossia sul peso ormai insopportabile che le tasse hanno sulle buste paga dei lavoratori. L’intento è ridare fiato alle imprese e mettere qualche soldo in più nelle tasche dei lavoratori, in modo che i consumi salgano. È una strategia che prova a guardare lontano. Intanto,ormai è sempre piùinevitabile che gli italiani da inizio ottobre faranno i conti con un’aliquota principale dell’Iva che salirà dal 21% al 22%.