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Noi lavoratori autonomi ostaggi degli Studi di settore

Agenzia delle Entrate 4 Dicembre 2012

Sono un vero e proprio incubo per milioni di noi italiani, perché ogni anno inchiodano i nostri redditi a standard da rispettare, pena l’avvio di accertamenti fiscali. Stiamo parlando dei cosiddetti studi di settore, uno strumento utilizzato non solo in Italia, ma che nel nostro Paese è attivo ormai da 10 anni. In pratica si tratta di stabilire a priori, anno per anno, quanto una qualsiasi attività imprenditoriale o professionale esercitata in un determinato luogo, debba aver guadagnato. Se poi il valore reale dichiarato da noi contribuenti si discosta in negativo e di molto da questa cifra, allora ecco che possono partire le indagini fiscali.

 

Un sistema contestato

Diciamo subito che si tratta di un mezzo molto contestato proprio per il fatto che spesso a determinate attività vengono imputate entrate che sembrano, a chi le gestisce, difficili da rispettare. Eppure, per arrivare a definire questi standard minimi di guadagno, ci si serve di uno specifico software, denominato Gerico. Immettendo in questo programma una serie molto dettagliata di dati, si giunge a stabilire se un contribuente è coerente con gli studi di settore oppure no. Quattro sono gli ambiti produttivi in cui vengono applicati: servizi, commercio, manifatture e professionisti. All’interno poi di ciascun comparto esistono studi di settore specifici per ciascuna singola attività. Si va dunque dagli orefici agli avvocati, dai ristoranti ai panettieri. E’ intuitivo rilevare subito che ad esempio, un commerciante che opera nel centro di Roma, non possa essere confrontato con un suo omologo che svolge la stessa attività in un paesino dell’Appennino. Considerazioni queste ovvie, ma che molto spesso hanno condotto a scontri pesantissimi tra contribuenti e fisco, per via di distinzioni territoriali non sempre indicate chiaramente. Una situazione che a volte degenera in una guerriglia tributaria tale da portare molti di noi a decidere autonomamente, adeguandosi agli standard di guadagni stabiliti per quell’anno dal proprio studio di settore. Il motivo? Evitare contenziosi da cui poi possano scattare accertamenti fiscali.

 

Ci si mette anche la crisi

Il problema in questi ultimi tempi è diventato quanto mai complicato anche per i pesanti effetti che la crisi economica sta avendo su decine di migliaia di attività. Non è un caso allora che nel 2011 ci siano stati ben tre diversi adeguamenti verso il basso degli studi di settore proprio per tenere conto del calo sostanzioso degli introiti registrati da tantissime aziende e attività professionali. L’ultima modifica in ordine di tempo era contenuta nel decreto Salva Italia approvato dal governo Monti il 6 dicembre del 2011, poco dopo essersi ufficialmente insediato. Adeguamenti come detto che di certo sono stati accolti con favore dai contribuenti, che tra l’altro potranno già beneficiarne in relazione alle dichiarazioni del 2012 rispetto alle entrate registrate nel 2011. Un modo, seppur tardivo, di venire incontro alle difficoltà economiche di milioni di italiani, per i quali, gli studi di settore hanno cominciato a prevedere anche una serie di agevolazioni. Per chi infatti si presenta al fisco da anni coerente con gli standard degli studi di settore, o con scostamenti di entità molto contenuta, si prevedono ad esempio riduzioni dei termini per l’accertamento e un aumento al 33% della percentuale di tolleranza in caso di incoerenza rispetto al redditometro, un vantaggio quest’ultimo che potrà avere effetti positivi in particolare per tutte le partite Iva.

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