Se abitazione e ufficio coincidono, il Fisco non può entrare

La Cassazione sbarra la strada agli ispettori del Fisco. Se l’abitazione in cui un professionista o un qualsiasi altro detentore di partita Iva svolge l’attività coincide o comunica con i locali in cui vive, allora non sono permesse ispezioni fiscali se non in presenza di un preciso mandato di un magistrato. Le prove raccolte dunque durante un accertamento senza l’ordinanza di un tribunale non valgono e, per una volta, il contribuente la spunta sul Fisco. Questo afferma la sentenza numero 4140/13 depositata solo qualche giorno fa dall’organo supremo della nostra magistratura.
Il caso
Tutto nasce dalla vicenda di una piccola impresa alla quale venivano contestate alcune violazioni fiscali connesse all’uso di fatture ritenute false. Le prove raccolte erano frutto proprio di un controllo eseguito all’interno della sede del contribuente. Quest’ultimo, però, decide di impugnare l’avviso di accertamento, frutto proprio dell’ispezione sopra citata, perché la visita degli ispettori aveva riguardato dei locali che erano adiacenti a quelli in cui viveva. Inoltre, carte catastali alla mano, i vani in questione erano comunicanti attraverso delle porte. In sostanza si trattava di un unico immobile. Secondo l’istanza presentata dall’avvocato del piccolo imprenditore, per eseguire l’accesso il personale dell’amministrazione finanziaria doveva essere munito dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica. In assenza di questo preciso mandato, le prove raccolte erano da considerarsi non valide e di conseguenza risultava nullo anche l’avviso di accertamento.
La ragione da parte del contribuente
Fin dal primo grado di giudizio, tanto la Commissione tributaria provinciale, quanto quella regionale, hanno dato ragione al piccolo imprenditore. L’Agenzia delle Entrate, però, ha deciso di ricorrere in Cassazione, riconoscendo che, in effetti, l’autorizzazione del magistrato fosse necessaria, ma solo quando abitazione e uffici lavorativi coincidessero in maniera puntuale. Nel caso in questione erano semplicemente adiacenti e quindi il caso andava trattato in altro modo. Tra l’altro, sempre secondo l’amministrazione fiscale, nel caso in questione non era possibile stabilire con certezza se i locali fossero effettivamente distinti o separati.
La Cassazione chiarisce
Il caso ha dato la possibilità alla Corte di Cassazione di chiarire in maniera definitiva alcuni aspetti pratici, che potranno un giorno tornare a tutto vantaggio di professionisti o partite Iva che svolgono attività in locali coincidenti o adiacenti a quelli privati, e che potrebbero subire lo stesso trattamento riservato al piccolo imprenditore di questa storia. L’organo supremo di giustizia ha chiarito che i locali, essendo comunicanti attraverso una porta, dovevano essere considerati promiscui e dunque assimilabili tutti ad abitazione privata. La conseguenza è che i verificatori fiscali avrebbero dovuto osservare le garanzie previste dalle norme sui controlli in private abitazioni, e quindi richiedere una specifica autorizzazione al Procuratore della Repubblica. Non è, infatti, necessario che ufficio e abitazione privata coincidano perfettamente, come richiedeva l’Agenzia delle Entrate, ma è sufficiente che siano comunicanti per rendere necessario il mandato di un giudice. La diretta conseguenza è dunque che le prove erano state raccolte in maniera illegittima e che dunque anche l’avviso di accertamento era nullo.