Franchising, ma quanto mi costi?
L’affitto del negozio e dell’ufficio, il pagamento delle fee (commissioni d’ingresso), l’acquisto dei primi rifornimenti. E poi l’arredamento, i computer, i registratori di cassa e gli allestimenti per le vetrine. Non sono poche le spese da affrontare per aprire un punto-vendita in franchising, che necessita per forza di cose di un investimento iniziale importante.
Meno di 60mila euro
Eppure, almeno secondo le statistiche, l’affiliazione a una grande catena commerciale non comporta mediamente l’esborso di cifre da capogiro. Secondo le rilevazioni annuali dell’organizzazione di categoria, Assofranchising, oltre il 60% dei rivenditori che avviano un’attività deve investire meno di 60mila euro. Poco più del 20% dei franchisee (cioè i titolari dei negozi) è costretto invece a sostenere una spesa superiore agli 80mila euro. Naturalmente, l’entità del versamento iniziale dipende da molti fattori, come il tipo di attività prescelta, la catena di affiliazione, la superficie o il posizionamento del punto-vendita oppure la quantità di forniture minime, necessarie per partire con il business.
Un milione per un Big Mac
Di solito, le cifre più elevate si registrano per l’apertura dei supermercati o nel settore della ristorazione. È il caso, per esempio, del grande colosso dei fast food McDonald’s, la cui rete di distribuzione si basa per l’80% proprio sulla formula del franchising. L’investimento iniziale massimo per aprire un punto-vendita della società statunitense è di 1 milione e 150mila euro (Iva inclusa) più altri 50mila euro circa per le fee d’ingresso, a cui si aggiunge un deposito cauzionale di 15mila euro, che verrà restituito al titolare del ristorante, nel caso di annullamento del contratto con Mc Donald’s. Si tratta indubbiamente di cifre rilevanti, che però possono essere finanziate in gran parte dalle banche. Ai proprietari del punto-vendita, la casa madre richiede soltanto, si fa per dire, una capacità finanziaria minima di 500mila euro.
300mila euro per il supermarket
Per aprire e gestire un McDonald’s, insomma, occorre avere un po’ di soldi disponibili. Stesso discorso anche per chi vuole avviare un’ attività commerciale in altri campi, affiliandosi alle società della grande distribuzione organizzata, per esempio le catene di supermarket, di rivenditori di elettrodomestici, oppure di oggetti d’arredamento. Brico Center, noto marchio di prodotti per il giardinaggio, la falegnameria e l’hobbistica, richiede per esempio ai propri affiliati una capacità finanziaria minima di circa 300mila euro. Chi dispone di cifre ben più modeste e vuole entrare nel mondo del franchising deve dunque indirizzarsi necessariamente verso altri tipi di attività, in particolare nel settore dell’intermediazione mobiliare e creditizia. In questi due campi, l’avvio del business necessita senza dubbio di una dote iniziale ben più modesta, poiché il successo dell’ iniziativa si basa molto sulle capacità commerciali del franchisee, piuttosto che sulla qualità e l’appeal dei prodotti offerti.
Pochi soldi per l’agenzia
Per le grandi catene di compravendite immobiliari, da Tecnocasa a Gabetti sino a SoloAffitti, l’ingresso nella rete nazionale in franchising comporta di solito una spesa iniziale abbastanza abbordabile, che parte da un minimo di 10-20mila euro. Un po’ più consistenti, benché non elevatissimi, sono invece i costi per lanciare i punti-vendita dei principali beni di largo consumo. Per librerie, secondo i dati dell’Annuario del Franchising, la cifra richiesta dalle catene nazionali parte da 20mila-50mila euro nel caso di alcuni marchi (come Edicolè) per arrivare sino a 40mila-80mila euro richiesti da altri nomi noti dell’editoria (come i punti-vendita Mondadori). Ancor più elevati sono gli investimenti nel comparto dell’abbigliamento, per l’uomo, la donna, il bambino o per la biancheria intima, dove le grandi catene in franchising segnalano come investimento iniziale minimo una somma compresa generalmente tra 60 e 120mila euro. Non è pochissimo, ma non è neppure una cifra proibitiva.