Governo e Consiglio di Stato stangano le casse autonome

Le casse autonome, quelle a cui versano i contributi in alternativa all’Inps quasi due milioni di persone, che fanno parte di una trentina di categorie di professionisti e lavoratori autonomi, rischiano di dover pagare una salatissima gabella al governo. Sì perché un provvedimento del Consiglio di Stato le assimila a enti pubblici anche se in realtà sono private da oltre 15 anni. Una beffa che le casse vivono con molto disagio anche perché non è la prima volta che un governo in difficoltà mette loro le mani in tasca costringendole a versare denaro sottratto alle prestazioni pensionistiche degli iscritti. Facciamo un passo indietro. Nel 1993 il Governo Amato, oltre al noto prelievo forzoso del 6 per mille sui conti correnti bancari, effettuò anche un prelievo di ben il 30% sulle entrate contributive delle casse, ai tempi non ancora privatizzate: un “prestito” che venne restituito negli anni successivi a tassi bassissimi, mettendo a rischio i conti degli enti. Anche per questo si arrivò nel 1994 alla privatizzazione delle casse.
Pubblici o privati?
Privatizzazione che, tuttavia, non sembra averle protette dalla tentazione del Governo di usarle come bancomat. Infatti i casi sono due: o i soldi raccolti sono a tutti gli effetti privati e possono andare solo a vantaggio degli iscritti, oppure queste casse sono enti pubblici “mascherati”, con il rischio che i Governi continuino a servirsi dei loro danari, almeno finché sono in attivo. E che fossero in attivo era chiaro, anche perché la legge 135 del 2012, la cosiddetta Spending Review (il provvedimento con cui il Governo ha deciso i tagli della spesa pubblica, che è anche il provvedimento in base al quale si chiede di pagare oggi alle casse), chiedeva di dimostrare la loro “sostenibilità a 50 anni”, ovvero la capacità di pagare le pensioni agli assistiti almeno fino al 2042. Dimostrazione che è puntualmente arrivata da parte delle casse entro il 30 settembre scorso. Ma dopo che queste hanno dovuto, conti alla mano, dimostrare di avere i soldi, con la sentenza del Consiglio di Stato è arrivata anche l’intimazione a pagare: il 5% delle spese previste per quest’anno e il 10% di quelle previste per il 2013. Secondo Andrea Camporese, che è il presidente dell’Adepp (l’associazione di categoria delle casse) “Le sentenze vanno rispettate, ma è evidente che daremo battaglia in giudizio. Andremo davanti alla Corte Costituzionale e, se necessario, davanti alla Corte Europea per difendere la nostra privatizzazione. È necessario chiarire una volta per tutti i confini della nostra responsabilità a tutela dei nostri iscritti”. La battaglia fra magistratura amministrativa e casse autonome, infatti, va avanti almeno dalla privatizzazione del 1994. In almeno tre procedimenti è stata infatti messa in dubbio la natura privata delle casse. L’aspetto più controverso è sempre stato l’obbligo per gli iscritti agli ordini professionali di versare alle casse e non all’Inps, all’Inpdap o ad altri enti di previdenza pubblici. La tesi che si è cercato di affermare è che le casse possono essere solo enti di previdenza complementare, non “principale”. È evidente che c’è una bella differenza fra l’obbligo di legge di versare i contributi a un ente e la facoltà di farlo volontariamente. Questione non semplice anche perché in molti casi (per esempio infermieri, ingegneri, architetti, periti industriali) l’obbligo c’è solo se il lavoratore è un professionista autonomo, se è un dipendente pubblico può versare all’Inpdap, se privato all’Inps. Per altre professioni (per esempio avvocato, commercialista, giornalista) l’obbligo di versare alla cassa autonoma c’è anche se il lavoratore è dipendente. Nell’incertezza, solo un punto chiaro: alle casse viene chiesto di versare al governo il 5% delle spese previste per quest’anno e il 10% di quelle previste per il 2013, alla salute di iscritti, assistiti e dipendenti.