Pensione a 70 anni: la fatica è tanta, ma l’assegno cresce
In pensione a 70 anni. È una prospettiva che turba i sonni di milioni di italiani, che vorrebbero mettersi a riposo molto prima. Tuttavia, chi ha la volontà e la forza di rimanere al lavoro fino a un’età così avanzata, ottiene in cambio almeno un beneficio: incasserà dall’Inps un assegno più alto di quello che otterrebbe andando in pensione appena 3 o 4 anni prima.
Effetti della legge Fornero
Il merito (almeno per una volta) va riconosciuto alla contestatissima riforma previdenziale approvata nel 2011 dal governo Monti, con la regia del ministro del welfare Elsa Fornero.
La legge Fornero, oltre ad aver alzato notevolmente (e in maniera brusca) l’età della pensione di vecchiaia, ha introdotto per tutti i lavoratori il metodo contributivo (seppur gradualmente, con un meccanismo che si chiama “pro-rata”). Si tratta di un particolare sistema di calcolo delle pensioni che premia chi si mette a riposo più tardi e che, fino a due anni fa, era già applicato ai lavoratori più giovani. Dal 2011 in poi, il metodo contributivo è stato parzialmente esteso anche ai lavoratori più anziani, vicini alla pensione.
Di conseguenza l’assegno erogato dall’Inps non dipenderà più dalla media degli ultimi redditi dichiarati prima del pensionamento, ma dalla quantità di contributi versati nel corso di tutta la carriera. Chi si mette a riposo a 70 anni anziché a 66, dunque, avrà versato una quantità maggiore di contributi all’Inps e, proprio per questa ragione, riceverà un assegno previdenziale più alto.
Di quanto cresce l’assegno
Non è facile stimare di quanto può crescere la pensione restando in attività 3 o 4 anni di più. Tutto dipende dal reddito del lavoratore e dalla professione che svolge, cioè da due parametri che influiscono sulla quantità di contributi da versare ogni 12 mesi all’Inps (o agli altri enti previdenziali di categoria). Si possono fare però delle stime un po’ approssimative, utilizzando il simulatore pensionistico creato dalla software house Epheso, in collaborazione con la società di ricerca e consulenza Mefop (partecipata dal ministero dell’Economia). Prendiamo per esempio una partita Iva iscritta alla Gestione Separata, cioè a quel particolare fondo dell’Inps in cui versano i propri contributi i lavoratori precari e parasubordinati o i liberi professionisti non iscritti agli Ordini: secondo il simulatore Epheso-Mefop, un contribuente 56enne, che ha 27 anni di carriera alle spalle e guadagna oggi 2.500 euro netti al mese, potrà mettersi al riposo nel 2023, a 66 anni, con una pensione netta di quasi 1.100 euro al mese (compresa la tredicesima). Se lo stesso lavoratore si metterà a riposo 4 anni più tardi, cioè nel 2027, riceverà però dall’Inps una rendita ben più consistente, pari a circa 1.500 euro al mese (con un incremento dell’assegno di ben 400 euro).
Mensilità più ricche
Ciascun anno di carriera in più, dunque, può significare una crescita della pensione di ben 100 euro al mese. Il risultato non cambia di molto se si prende in esame un’altra classe di partite Iva: i commercianti e gli artigiani (che hanno un proprio fondo previdenziale all’interno del bilancio Inps). Anche in questa categoria professionale, i contribuenti possono incrementare notevolmente la pensione restando al lavoro 48 mesi in più. Per esempio, un commerciante che oggi ha 57 anni di età, un reddito netto di 2.500 euro al mese e 27 anni di carriera alle spalle, può andare in pensione a 67 anni (cioè nel 2024) con una rendita netta di 1.750 euro al mese (compresa la tredicesima). Se invece lo stesso lavoratore si ritira a 70 anni, cioè nel 2027, incasserà dall’Inps un assegno di circa 2mila euro ogni 30 giorni, con una differenza di 250 euro. La prospettiva è senza dubbio allettante, anche se ci vorranno parecchi sforzi per rimanere attivi in un’età così avanzata. Non sarà facile riuscirci, almeno per chi fa dei lavori di fatica.