Va in soffitta la riforma Fornero, in pensione a 62 anni

Permettere agli italiani di andare in pensione un po’ prima rispetto a quanto prevedono le regole severe della riforma Fornero. È il progetto che il governo Letta (con la regia del ministro del welfare, Enrico Giovannini) sta mettendo in cantiere per rendere più flessibile il sistema previdenziale italiano. L’idea che si sta facendo strada è consentire il congedo dal lavoro con 35 anni di contributi e 62 anni, e non a 66 anni come invece prevede l’ultima legge sulle pensioni approvata dal governo Monti. Per chi sceglie di mettersi a riposo con i nuovi requisiti, però, potrebbero essere introdotte delle penalizzazioni sull’assegno, con un taglio che arriva sino all’8% della pensione piena (che continuerebbe a maturare soltanto alla soglia dei 66 anni). Ma vediamo, nello specifico come funzionerà il nuovo sistema previdenziale italiano, se verranno confermate le indiscrezioni degli ultimi giorni.
Progetto-Damiano
Molti osservatori politici ed esperti di previdenza ritengono probabile che il governo Letta adotti uno schema già presente in un’altra proposta, presentata in Parlamento negli anni scorsi proprio per ammorbidire gli effetti della riforma Fornero. Si tratta di un progetto di legge che porta la firma di alcuni deputati del Partito Democratico e in particolare di Cesare Damiano, ex-ministro del Lavoro tra il 2006 e il 2008, ai tempi del secondo governo Prodi. In particolare, la proposta Damiano fissa a 66 anni la soglia necessaria per avere la pensione piena. Il congedo dal lavoro è tuttavia possibile anche prima, cioè a 62 anni di età, purché siano stati accumulati 35 anni di contribuzione. In questo caso, però, l’assegno viene tagliato di un importo del 2%, per ogni anno di pensionamento anticipato, fino a un massimo dell’8%. Il meccanismo è il seguente: chi si ritira a 65 anni subisce un taglio della pensione di 2 punti percentuali, che salgono al 4% se il congedo dal lavoro avviene a 64 anni e al 6% se il lavoratore sceglie di mettersi a riposo a 63 anni. La decurtazione massima si ha invece a 62 anni, con una sforbiciata dell’8% alla rendita. Ecco un esempio puramente indicativo: chi ha diritto una pensione di 1.000 euro mensili ma sceglie di ritirarsi a 62 anni e non a 66, avrà una decurtazione di 80 euro (l’8% di 1.000). Si tratta però di un importo lordo che, al netto delle tasse, dovrebbe ridursi a circa 65 euro, poiché il lavoratore guadagna di meno e paga così un un’Irpef (imposta sui redditi delle persone fisiche) più leggera.
Incentivi per chi resta al lavoro
Oltre a penalizzare chi va in pensione a 62 anni, il progetto di Damiano (che il governo Letta potrebbe far suo in buona parte), prevede invece dei “bonus” sull’assegno per chi resta al lavoro per un po’ di tempo in più, pur avendo superato la soglia dei 66 anni di età. In questo caso, il sistema degli incentivi è perfettamente identico a quello dei tagli. Nello specifico, chi ha superato la soglia dei 66 anni beneficia di un aumento dell’assegno del 2% ogni 12 mesi di permanenza al lavoro. Esempio: chi va in pensione a 67 anni vede la rendita crescere del 2% mentre chi resta in attività sino a 68 anni ottiene il 4% in più, fino ad arrivare a un incentivo massimo dell’8% attorno alla soglia dei 70 anni. Anche in questo caso, si tratta di importi calcolati al lordo delle tasse che, al netto dell’irpef, saranno un po’ più bassi. Se il governo Letta deciderà di cambiare così la riforma Fornero, resta soltanto da rispondere a un interrogativo: quanto peseranno sul bilancio pubblico queste riforme (o, per meglio dire queste controriforme)? La risposta rimane per adesso un’incognita anche se il presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua, ha giudicato le misure “sostenibili” dal punto di vista finanziario.