Aumento di luglio, un’altra mazzata che non ci meritiamo

«È la somma che fa il totale», ha dichiarato al Sole 24 Ore il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta, citando Totò e di fatto alzando metaforicamente le braccia in segno di resa. Tutti in Italia chiedono al Governo di sforbiciare le tasse, nessuno però vuole che si cominci a tagliare dalla stessa parte mentre la coperta è cortissima e le autorità internazionali (la famigerata troika composta da Banca centrale europea, Unione europea, Fondo monetario internazionale) ci ammoniscono di non tagliare un bel nulla, anche se è chiaro che di rigore la nostra economia sta quasi morendo. Così, mentre da un lato si sospende la rata dell’Imu di giugno sulla prima casa in attesa di una riforma della tassazione degli immobili che si preannuncia complicatissima (e difficilissima da fare nei 100 giorni previsti) e si annunciano interventi per sostenere l’occupazione giovanile, un terzo fronte si è già aperto quello dell’aumento dell’Iva dal 21 al 22% al primo luglio già previsto e deciso da luglio 2010 dall’ultimo Governo Berlusconi e dall’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti.
Ma aumentare l’Iva di un punto cosa vuol dire?
Secondo la Confcommercio per una famiglia di 3 persone l’aumento porterà una ‘stangata’ media di 103 euro l’anno che per la Cgia (Associazione artigiani) di Mestre diventano 135 euro l’anno e che per la Federconsumatori arrivano addirittura a 734 se l’Imu alla fine non viene cancellata e si somma anche la Tares. E sempre secondo la Confcommercio, con l’Iva più cara sono ben 26mila negozi che rischiano di tirare giù definitivamente la saracinesca entro la fine del 2013. Tradotto in euro? Circa 2,1 miliardi di maggiori spese tendenziali per gli italiani nel 2013, ma più di 4 miliardi l’anno successivo. Guarda caso, una partita di giro con i quattrini che servono a non pagare la rata Imu di giugno.
Evitare la stangata Iva si può?
Secondo molti (fra cui Guglielmo Epifani, segretario del Pd) la stangata si deve evitare. Anche perché l’aumento dell’Iva sull’80% dei beni di consumo acquistati dagli italiani è una misura che avrebbe senso se si trattasse di raffreddare un’inflazione galoppante con consumi alle stelle. La situazione opposta a quella attuale: già il primo aumento dell’Iva (dal 20 al 21%) avvenuto due anni fa ha avuto un forte effetto di compressione sui consumi. Ricordiamo che per molti beni l’aumento sui prezzi finali che serve a compensare l’incremento fiscale non è dell’1%, ma va moltiplicato per tutti i passaggi del bene stesso. In media i rincari “automatici” al supermercato andranno dal 3 al 6%. Su benzina, sigarette, vino il rincaro sarebbe del 5%. E i consumi scenderebbero ancora.
Secondo una stima del Sole 24 Ore l’effetto dell’aumento di due anni fa sul gettito Iva non è stato di un maggiore incasso per l’erario ma di una perdita di almeno 173 milioni nel 2012. Quest’anno la perdita innescata dal calo dei consumi potrebbe arrivare a 300 milioni. Proprio un buon motivo per aumentarla, l’Iva!
Il popolo delle partite Iva
Un quadro insensato. No, peggio. Perché naturalmente l’effetto colpirebbe in maniera particolare le partite Iva che da un lato subirebbero tutti gli incrementi dei costi di produzione lavoro portati dagli aumenti fiscali sui beni strumentali non deducibili o detraibili (come gli immobili ai fini Imu), dall’altro dovrebbero caricare sui clienti l’aumento fiscale in fattura, col rischio di avere meno lavoro o di dover ulteriormente erodere il compenso delle loro prestazioni.
Comunque vada la lotteria fiscale in atto, alle partite Iva è ben difficile che vada un premio. Perché di tutti i provvedimenti sul tavolo nessuno (né riforma del lavoro, né sospensione dell’Imu) va a loro vantaggio.