False partite Iva, allarme della Nidil Cgil: sono oltre il 40%

Mentre la discussione sul Jobs Act anima il dibattito politico e sindacale, anche il tema delle partite Iva torna sovente sulla bocca degli opinion leader del nostro Paese.
Per il momento sono solo parole, nell’attesa di vedere anche qualche fatto concreto. Interessanti, nelle ultime settimane, sono state le dichiarazioni di Claudio Treves, segretario generale di Nidil Cgil.
Le false partite Iva
Secondo il sindacalista: “in assenza di un riordino delle forme contrattuali, potrebbe aumentare il ricorso alle partite Iva da parte delle aziende, che le utilizzerebbero per sfruttare manodopera”. Il sindacato ha da poco realizzato infatti un’indagine sulle partite Iva dalla quale è emerso che “oltre il 40% sono false”.
Dato che non sorprende più di tanto Treves: “Dal primo gennaio sono entrati in vigore i cosiddetti criteri di presunzione della riforma Fornero, vale a dire una presunzione di subordinazione per i titolari di partita Iva a cui si potessero applicare due delle seguenti tre condizioni: un rapporto di lavoro prevalente, nel senso di una committenza che contasse per almeno l’80% del reddito di quel lavoratore esaminato su due anni; una durata della committenza di almeno otto mesi, anche questo da analizzare su un arco di tempo di due anni; la predisposizione da parte del committente di sedi e strumenti di lavoro”.
Il lavoratore che ricade in due delle tre fattispecie è quindi considerato un falso titolare di partita Iva. “Il nostro questionario – ha spiegato Treves in un’intervista radiofonica – fotografa, sulla base delle risposte che le persone hanno deciso di dare, quali potrebbero essere gli effetti della normativa se venisse applicata oggi”. In particolare, i risultati dicono che su ogni 100 persone intervistate, “42 rientrano nelle condizioni previste dalla legge Fornero per essere dichiarate false”.
I numeri del Paese
Intanto, dalla raffica di cifre che vengono fornite quotidianamente non emergono spunti positivi, anche se qualche bagliore potrebbe intravedersi. Così secondo il Centro studi di Confindustria la crescita della produzione industriale a marzo è stata dello 0,2% rispetto a febbraio, dopo che già nel mese precedente l’incremento era stato dello 0,5%. Discreto anche il dato annuale, con l’indice che presenta un segno positivo pari a +0,3%.
Male invece il fronte occupazionale. Secondo i dati diffusi dall’Istat, il tasso di disoccupazione a febbraio è tornato al 12,7%, dopo il calo a gennaio al 12,6%. In particolare in un mese gli occupati sono diminuiti di 44.000 persone.
Come dire, cambiano le norme, ma non muta la sostanza. Il rischio è che continuando di questo passo sarà sempre più difficile uscire dal tunnel della crisi.