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La Mia Partita IVA • News • IVA • Ranci: lavoratori autonomi importanti ma snobbati

Ranci: lavoratori autonomi importanti ma snobbati

IVA 2 Dicembre 2012 Mario Nicoliello

Rappresentanza frammentata, assenza di protezioni, senso di estraneità nei confronti dello Stato. Sono queste le principali criticità che il popolo delle partite Iva si trova ad affrontare oggi. Parola del professor Costanzo Ranci, docente di Sociologia al Politecnico di Milano, curatore del volume “Partite Iva: il lavoro autonomo nella crisi italiana” (Il Mulino, 2012), lo studio che riassume un lavoro di ricerca condotto sulle partite Iva italiane.

Ranci delinea i cambiamenti che hanno interessato il lavoro autonomo, le caratteristiche delle partite Iva e le problematiche che interessano una parte importante della forza lavoro italiana, un popolo troppo spesso trascurato.

 

Professor Ranci, quanto pesa il lavoro autonomo in Italia?

Molto più di quanto possa apparire. Nel nostro Paese sono autonomi quasi un quarto (il 24%) dei lavoratori, un dato doppio rispetto alla media europea, pari al 12%. Possiamo tranquillamente affermare che l’Italia è un Paese di lavoratori autonomi, che però vengono considerati molto poco.

 

Come è cambiato il lavoro autonomo in questi ultimi anni?

Le principali novità hanno riguardato almeno tre ambiti. Innanzitutto è aumentato il livello di istruzione del popolo delle partite Iva. In passato la risorsa fondamentale era costituita dal capitale economico e dalla conoscenza del mestiere appresa sul campo. Oggi contano molto di più, soprattutto per le nuove professioni, le competenze acquisite in percorsi di formazione.

 

Vuol dire che è cresciuto il numero di autonomi che hanno un titolo di studio oppure che seguono periodicamente corsi di aggiornamento e formazione?

Certamente. In più, rispetto al passato, si sta verificando un altro importante fenomeno: si riduce il lavoro autonomo svolto in forma organizzata, mentre cresce il lavoro individuale. Sono sempre meno le partite Iva che hanno dipendenti, mentre si moltiplicano i free-lance, coloro che operano senza avere una struttura produttiva alle spalle.

 

E il terzo cambiamento qual è stato?

È mutato il profilo della partita Iva classica. In passato, i lavoratori autonomi erano soprattutto persone di una certa età, principalmente maschi. Oggi la maggior parte delle partite Iva sono giovani. Inoltre, sta crescendo il numero di donne che decidono di seguire la strada del lavoro autonomo.

 

Nell’attuale mercato del lavoro il titolare di partita Iva riesce a ritagliarsi uno spazio?

Stiamo assistendo a una crescita sia della domanda che dell’offerta di lavoro autonomo. Per quanto concerne il primo aspetto, le imprese stanno esternalizzando una serie di prestazioni che prima svolgevano al proprio interno. Si tratta di prestazioni molto variegate, dalle consulenze fino alle pulizie passando per le manutenzioni. L’esternalizzazione ha riguardato tanti settori e ha stravolto le regole del mercato, creando un’ampia domanda di lavoro autonomo.

 

E sul piano dell’offerta?

Sul piano dell’offerta, tanti lavoratori con un livello di istruzione elevato, i cosiddetti knowledge-workers, stanno innalzando la qualità del mercato del lavoro, scegliendo nella maggior parte dei casi di lavorare in proprio.

 

E’ una scelta volontaria o forzata?

Soltanto una piccola parte dei nuovi professionisti vive la scelta del lavoro autonomo come obbligata. Gli altri decidono volutamente di mettersi in proprio. Durante la nostra ricerca è emerso come tra i giovani i valori dell’autonomia, dell’indipendenza, dell’auto-qualificazione si stiano sempre più diffondendo.

 

Il titolare di partita Iva è contento di essere un lavoratore autonomo, oppure mira a farsi assumere?

Oggi non c’è più una netta separazione tra le due tipologie, le differenza tra dipendenti e autonomi vanno pian piano affievolendosi. Anzi, c’è una buona fetta di lavoratori che sono autonomi formalmente, anche se nei fatti sono veri e propri dipendenti. Operano infatti in contesti vincolati in quanto sono monocommittenti, oppure devono rispettare vincoli di orario o di luogo.

 

Per esempio?

Il 22% degli autonomi che non hanno dipendenti lavorano per un solo committente, mentre se consideriamo le partite Iva che devono rispettare vincoli di orario o di luogo la percentuale sale fino al 40%. Esiste quindi un’area grigia tra lavoro autonomo e lavoro dipendente nella quale nessuno vorrebbe ricadere.

 

La recente Riforma del lavoro è intervenuta proprio su questo ambito, cercando di smascherare le finte partite Iva.

Credo che la Riforma Fornero sarà di difficile applicazione. C’è il rischio che le nuove regole siano aggirate. Per esempio, se la norma prevede che non ci debbano essere contratti più lunghi di 8 mesi si cercherà di riformulare gli accordi e di ridurre la durata; se il tetto di reddito è stato fissato a 18mila euro si cercherà in tutti i modi di non superarlo, così come si cercherà di eludere i vincoli di luogo. Ritengo che sia molto difficile controllare tutto ciò.

 

La copertina dello studio sulle Partite Iva

Quali sono le principali criticità che oggi una partita Iva si trova ad affrontare?

Sono almeno quattro: vulnerabilità a livello economico, assenza di forme di protezione, mancanza di una rappresentanza unitaria, senso di estraneità nei confronti dello Stato.

 

Partiamo dalla debolezza a livello economico.

Nel lavoro autonomo ci sono differenze di reddito molto accentuate, non esiste un profilo unitario. Quindi c’è chi guadagna tanto in un anno, ma c’è anche chi ha un reddito molto basso e soffre dal punto di vista economico. In linea generale la distanza tra redditi alti e bassi nel lavoro autonomo è molto più accentuata rispetto al lavoro subordinato.

Se consideriamo come soglia di rischio un reddito di 11.300 euro annui, possiamo osservare come soltanto l’1% degli impiegati dipendenti sia sotto questo limite, mentre il 7% degli autonomi non riesce a superare la soglia. In termini di reddito medio, stimato considerando anche il fenomeno dell’evasione fiscale altrimenti il dato sarebbe più basso, il lavoratore autonomo guadagna 2.800 euro mensili, contro i 3.000 di un impiegato dipendente e i 2.400 di un operaio dipendente.

 

L’aspetto più preoccupante è l’assenza di protezioni?

La partita Iva è meno protetta rispetto a un dipendente. Faccio due esempi: disoccupazione e pensione. Nel primo trimestre 2012 la disoccupazione ha colpito maggiormente gli autonomi rispetto ai dipendenti. I primi hanno perso il 2% dei posti di lavoro, i secondi hanno invece mantenuto inalterate le posizioni. Sottolineo che, mentre chi è assunto può sfruttare la cassa integrazione ordinaria o quella in deroga, una partita Iva non ha nessuna tutela in casi di crisi o di cessazione dell’attività. Al momento non ci sono forme di protezione né pubbliche né private.

 

E sul fronte pensionistico?

Per quanto riguarda le pensioni, mediamente la contribuzione di un autonomo è più bassa rispetto a quella di un dipendente. Se da un lato quindi le partite Iva non hanno una forte imposizione contributiva, dall’altro si ritrovano ad avere pensioni molto basse.

 

In merito alle forme di rappresentanza come è la situazione attuale?

La frammentazione che c’è nel mondo delle partite Iva non consente di avere una rappresentazione unitaria. Il sistema è costruito sullo stile delle corporazioni, con ciascun Ordine che procede per conto proprio, mentre i professionisti senza Ordine avanzano a fatica. In passato c’è stata una sorte di collateralismo con alcuni partiti che cercavano di rappresentare gli interessi degli autonomi: prima la Democrazia Cristiana, poi la Lega Nord nelle regioni settentrionali, infine Berlusconi.

 

E ora?

Adesso in una fase di transizione politica c’è un grosso deficit di rappresentanza. I governi non hanno più affrontato i problemi delle partite Iva. A mio avviso per farsi valere occorrerebbe creare forme di rappresentanza più trasversali.

 

Infine, parliamo del legame tra partite Iva e Stato.

Nella nostra ricerca abbiamo effettuato più di 150 interviste a lavoratori autonomi italiani. Le risposte alle domande sono state variegate, tranne su un punto: tutti ci hanno detto di non avere nessun tipo di aspettativa dallo Stato. Tra le partite Iva serpeggia un fortissimo senso di estraneità nei confronti dello Stato. Considerata l’assenza di protezioni, gli autonomi cercano sempre da soli le soluzioni ai loro problemi in caso di malattia, maternità, infortuni, senza chiedere nulla allo Stato. Di conseguenza essi non concepiscono che lo Stato debba continuare a imporre loro tributi. Mi auguro che in futuro questa estraneità possa essere superata e che le partite Iva possano essere ricondotte dentro un nuovo patto di cittadinanza.

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