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La Mia Partita IVA • News • IVA • Stai fallendo? Non importa, l’Iva devi pagarla lo stesso

Stai fallendo? Non importa, l’Iva devi pagarla lo stesso

IVA 4 Marzo 2013

Le tasse si pagano, e che nessuno provi a invocare la scusa della crisi, perché il Fisco non ci crederà mai. È questo il succo del messaggio, per niente collaborativo e anzi dai toni quanto mai intimidatori, che si può trarre, in maniera del tutto soggettiva, da una recente sentenza della Cassazione che così si è espressa in merito ai versamenti dell’Iva. A niente è servito a un contribuente che una Commissione tributaria avesse momentaneamente sospeso una cartella esattoriale di fronte alle evidenti difficoltà del soggetto a fare fronte ai pagamenti. Quando è arrivato il momento, puntuale è scattato il sequestro di beni di valore equivalente al dovuto, con il risultato che il contribuente ha provato a far valere le sue ragioni davanti a un giudice, ma con scarsi risultati.

 

Segnali di speranza vanificati

L’azione legale del lavoratore, impossibilitato a versare l’Iva, nasceva da precedenti in cui i giudici si erano mostrati più indulgenti verso chi dimostrava di avere difficoltà economiche evidenti. A questo proposito il soggetto in questione aveva presentato una serie di documenti che attestavano la propria precarietà economica legata alla crisi. Era successo a Milano, a novembre dell’anno scorso, che il Tribunale avesse stabilito per una piccola impresa in liquidazione soggetta al peso di un decreto ingiuntivo per importi molto pesanti, che sussistessero le condizioni perché il Fisco facesse un passo indietro con le sue richieste dei versamenti dell’Iva. E ancora, nell’agosto del 2012, era stato il Tribunale di Firenze a stabilire che il mancato pagamento dell’Iva per importi superiori a 50mila euro, soprattutto quando il contribuente avesse già pattuito con l’Agenzia delle Entrate un piano di rientro, non poteva essere punito nel caso si fossero verificate delle gravi difficoltà economiche del soggetto causate dalla crisi. Precedenti che però non hanno impietosito in nessun modo la Cassazione che ha deciso di sgombrare il campo da ogni dubbio, prendendo una decisione di tutt’altro tenore.

 

L’Iva va pagata, sempre e comunque

Con la sentenza 9578/2013 la Corte Suprema ha sancito che per una partita Iva il dovere di pagare le tasse viene prima di qualsiasi difficoltà economica. Secondo il giudice, il comportamento corretto da adottare stabilisce che nel corso dei mesi si accantoni, cioè si metta giudiziosamente da parte, la quantità di denaro che servirà a pagare l’Iva alla sua scadenza. Non importano dunque le situazioni, anche gravi, in cui la piccola partita Iva o il piccolo imprenditore potrà venire a trovarsi in quel periodo. I soldi accantonati per l’Iva non vanno toccati, perché al momento opportuno dovranno essere versati nelle casse dello Stato. A nulla serve che un contribuente porti le prove materiali che i suoi bilanci stanno attraversando un periodo di gravi difficoltà. E questo perché secondo la Cassazione non deve esserci commistione, ossia confusione, tra i soldi che devono servire a gestire l’azienda e quelli che invece, da buon cittadino, si devono mettere da parte per pagare le tasse, cioè l’Iva in questo caso.

 

Dalla padella alla brace

Anzi, utilizzare le somme accantonate per il pagamento dell’Iva per altri bisogni, considerati di carattere privato, può semplicemente portare il giudice a concludere che, in maniera volontaria si sono distratte, ossia prelevate indebitamente, delle cifre di denaro per scopi che potrebbero essere considerati anche illegali. Insomma, per evitare che qualcuno, magari anche un solo cittadino disonesto, utilizzi queste tecniche per operazioni sospette di riciclaggio, si punisce in maniera indiscriminata quella massa immensa di piccole partite Iva che davvero stanno affrontando immani difficoltà per sopravvivere. Ora tutti sanno che mai e poi mai si potrà utilizzare la semplice realtà dei fatti, e cioè palesi difficoltà economiche, per posticipare il versamento dell’Iva. Ancora una volta, il Fisco perde il volto umano, e diventa un cappio intorno al collo di tanti lavoratori autonomi.

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