Avvocati e professioni associative: luci e ombre

Un colpo al cerchio e uno alla botte. Così si può riassumere la fine d’anno/fine legislatura per quello che riguarda il mondo delle professioni. Il cerchio è quello delle professioni non ordinistiche, che d’ora in poi verranno chiamate “associative” (perché la legge del 20 dicembre ha riconosciuto le associazioni che le rappresentano). La botte è quella degli avvocati, la cui legge “ad categoriam” (ci si perdoni il latino maccheronico) è stata approvata al Senato il giorno successivo, pochi minuti prima della fine della legislatura. Sconcertata il ministro della Giustizia Paola Severino, che al suo posto avrebbe voluto far approvare la certo più importante legge sulle misure alternative al carcere.
Su questo sito abbiamo già parlato delle due leggi e a legislatura chiusa non possiamo che confermare la nostra posizione. La legge sulle professioni associative va nella direzione di una modernizzazione del sistema economico italiano, dando dignità e futuro a professioni nate negli ultimi decenni al di fuori dello steccato chiuso degli Ordini. La legge sull’avvocatura è un passo indietro rispetto alla precedente legge (agosto 2012) di riforma delle professioni ordinistiche. Si è arretrati sulle tariffe, sul capitale delle società professionali, sulla pubblicità, sulla formazione, sull’accesso alla professione, sui tirocini (nei primi 6 mesi gli avvocati sono esentati dal pagare gli stagisti, mentre le aziende devono corrispondere loro un compenso), sull’autoregolamentazione disciplinare ecc. Una reazione di autodifesa della categoria che ha trovato amplissime sponde in Parlamento: unico gruppo contrario quello dei Radicali, una sparuta e coraggiosa pattuglia che in questo caso ha dimostrato di essere una realtà effettivamente liberale del nostro Parlamento. È probabile che sia anche l’ultima volta, dal momento che secondo i più recenti sondaggi i Radicali non riusciranno a esprimere deputati e senatori per la prossima legislatura.
Uno scandalo corporativo bello e buono e una vergogna per un Parlamento che non ha trovato il tempo approvare la riforma della legge elettorale, la soppressione delle province, il raddoppio delle pene per i trafficanti di opere d’arte e, appunto, la ridefinizione delle pene alternative al carcere. Ma ha trovato il tempo – e la quasi unanimità – per rimettere indietro le lancette dell’orologio in un settore così importante dell’organizzazione economica, sociale e civile del Paese.
Concordiamo quindi in pieno con Mario Monti, che nel discorso di fine legislatura del 23 dicembre ha demolito questa legge, definendola contraria a quello spirito di liberalizzazione che solo più servire al progresso del Paese. Una legge – sono le parole del premier dimissionario – che non aiuta i giovani avvocati e aumenta solo il potere degli organi interni del mondo dell’avvocatura.