Roma, 29 dicembre 2025 – Questa mattina il Tribunale di Roma ha pronunciato una sentenza destinata a lasciare il segno nel diritto fallimentare. I giudici hanno deciso che, quando c’è un conflitto tra l’assegnazione di un bene e una successiva dichiarazione di fallimento, conta la data del fallimento, non quella dell’assegnazione. La decisione è stata letta verso le 10.30 nell’aula G2 del palazzo di Giustizia in piazzale Clodio, davanti a una platea fatta di avvocati, creditori e qualche curioso. In sostanza, il tribunale ha stabilito che è il fallimento a “contare” nella procedura, mentre il fatto che il bene fosse già stato assegnato a un creditore non fa scattare un diritto preferenziale.
Al centro del caso c’è un principio fondamentale: la par condicio creditorum, cioè l’eguaglianza tra i creditori. Nel dispositivo i giudici spiegano che questa tutela impone di considerare la dichiarazione di fallimento anche se arriva dopo l’assegnazione del bene, a patto però che la vendita non sia stata ancora perfezionata. “In questo caso – scrivono nelle motivazioni – l’assegnazione è inefficace nei confronti della massa dei creditori, che ha diritto a essere soddisfatta in modo proporzionale”. Ammettere il contrario, secondo la corte, aprirebbe le porte a manovre poco chiare e favorirebbe chi arriva prima, penalizzando gli altri.
Tutto nasce da una procedura esecutiva partita nel 2022 su un immobile nella zona Tiburtina. La società Alfa s.r.l., debitrice verso vari istituti di credito tra cui Banca di Roma e Credito Cooperativo, era stata pignorata. Nel gennaio 2024 quel bene era stato formalmente assegnato a uno dei creditori, che però non aveva ancora trascritto l’acquisto nei registri immobiliari. Poco dopo, nel marzo 2024, lo stesso tribunale ha dichiarato il fallimento della società.
La disputa nasce proprio da qui: il creditore assegnatario sosteneva che l’assegnazione fosse ormai definitiva e quindi non toccata dal fallimento. Dall’altra parte i curatori fallimentari facevano notare che senza trascrizione l’atto non vale ed è la legge a proteggere la massa dei creditori. “Non è un semplice dettaglio tecnico”, ha detto in udienza il curatore Giovanni Rinaldi, “ma una questione fondamentale per evitare vantaggi ingiusti”.
La sentenza ha subito acceso dibattiti nei corridoi degli studi legali romani. L’avvocato Antonella De Santis, che difende diversi creditori coinvolti nella stessa vicenda, commenta: “Finalmente abbiamo un chiarimento netto dopo mesi di incertezze”. Altri legali civilisti invece temono che questo orientamento possa rallentare le esecuzioni immobiliari e spingere i creditori ad accelerare le pratiche burocratiche. “Chi ottiene un bene adesso sa che deve correre con la trascrizione”, avverte l’avvocato Fabrizio Giusti.
Il presidente dell’Ordine degli Avvocati di Roma, Paolo Ricciardi, ha aggiunto: “Il principio della par condicio creditorum è consolidato da tempo; resta da vedere come sarà applicato nella pratica soprattutto quando i tempi sono stretti”.
Non è la prima volta che i giudici devono mettere in equilibrio i diritti del creditore assegnatario con quelli dell’intera massa dei creditori. I dati del Ministero della Giustizia aggiornati a settembre 2025 parlano chiaro: negli ultimi tre anni sono almeno venti i tribunali italiani — da Milano a Palermo — dove casi simili sono stati discussi. Spesso le corti hanno richiamato l’articolo 45 della legge fallimentare, che stabilisce l’invalidità degli atti non trascritti prima della dichiarazione di fallimento.
Il professor Roberto Sassi dell’Università di Tor Vergata — esperto di diritto concorsuale — commenta così la sentenza: “Rafforza l’idea che per avere certezza serve sempre un punto fermo e oggettivo come la data del fallimento”.
Il creditore cui era stato assegnato l’immobile ha già annunciato — con una nota uscita poco dopo mezzogiorno — la volontà di fare appello. Nei corridoi del tribunale si dà quasi per certo che la vicenda finirà davanti alla Cassazione. Per ora resta fermo quanto deciso oggi: quando si scontrano dichiarazione di fallimento e anteriorità dell’assegnazione, conta soprattutto la prima. Almeno così dicono i giudici civili romani in questo freddo fine dicembre.
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