Come ti ribalto le sentenze del Tar: è privatizzazione o solo uno scherzo?
La sentenza del Consiglio di Stato, che ribalta due decisioni precedenti del Tar del Lazio, sostiene che le casse previdenziali private devono versare allo Stato una cifra che (secondo l’Adepp) potrebbe essere indicativamente di 6 milioni di euro nel 2012 e anche del doppio nel 2013. Cifra che verrebbe sottratta ai fondi destinati a pagare le pensioni di chi versa i contributi alle casse. Come mai? La questione può sembrare tecnica, ma in realtà rivela molto della logica con cui si muove l’amministrazione pubblica in tema di previdenza. Infatti non è da oggi che le casse autonome hanno forti problemi nel difendere la loro autonomia da quando, nel 1994, sono state privatizzate.
Il prelievo forzoso
Il nuovo prelievo forzoso, effetto indiretto della spending review del governo Monti, ha effetto solo perché il Consiglio di Stato, che è il tribunale amministrativo di grado più alto che c’è in Italia (i Tar, tribunali amministrativi regionali, sono quelli di primo grado. Per l’appello c’è il Tar del Lazio. Il Consiglio interviene solo in terzo grado) ha di nuovo affermato che le casse “restano nell’elenco Istat delle amministrazioni pubbliche”. Dunque sono enti pubblici, e come tali sottoposti ai tagli lineari previsti già dai provvedimenti del ministro Tremonti nel luglio 2011 e confermati dal governo in carica. Ma come fa il Consiglio di Stato ad affermare che degli enti privati sono anche pubblici? Anzi, che sono pubblici e basta? Secondo la sentenza la privatizzazione del 1994 «ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dalle casse che conservano una funzione strettamente correlata all’interesse pubblico… la privatizzazione è un’innovazione di carattere essenzialmente organizzativo». In altre parole se le casse raccolgono i contributi obbligatori degli iscritti e sono poi obbligate a pagargli le pensioni, sono enti pubblici. Alla faccia dei consigli di amministrazione, della loro autonomia decisionale (e della responsabilità civile e penale) nel campo della gestione dei patrimoni e del triplo livello di controllo a cui sono sottoposte le casse, vigilate da Ministero del Lavoro, Ministero dell’Economia e dalla Covip. E alla faccia della tassazione sui fondi investiti dalle casse: infatti (al contrario dei fondi pensione che qualche beneficio fiscale lo hanno) se le casse investono in strumenti finanziari (azioni, obbligazioni, titoli di stato) pagano le tasse sui dividendi come se fossero un privato cittadino.
Quel che resta lo prende lo Stato
Ma su quello che resta, che dovrebbe andare ad esclusivo vantaggio degli assistiti, evidentemente lo Stato vuole avere le mani libere. Domani, in base a questa sentenza, potrebbe decidere semplicemente che i professionisti e gli autonomi che hanno versato per anni i contributi alle casse non avranno da loro la pensione, o che dovranno rientrare sotto l’ala (ben meno generosa) dell’Inps. Non solo: la sentenza, parlando esplicitamente dell’attività di assistenza, mette le mani avanti per il prelievo prima e una sostanziale “deprivatizzazione” anche degli enti che oggi (a pagamento) forniscono le prestazioni integrative ai medici (Onaosi) e ai giornalisti (Casagit), nonché alle altre prestazioni che le casse, ognuna per la sua categoria, finanzia grazie ai versamenti degli iscritti: dalle indennità di disoccupazione all’erogazione di mutui agevolati per la prima casa. Sugli appartamenti che fanno parte del patrimonio delle casse (ricordiamo che fino agli anni Novanta gli enti previdenziali erano obbligati a investire una quota del patrimonio in immobili) è stato appena sventato il tentativo di costringerli a una svendita forzata in favore dello Stato. Insomma, gli effetti deleteri di questa sentenza potrebbero essere ancora molti e negativi per chi spera, un domani, di vivere grazie alla pensione di una cassa privata.
Una situazione che non ha nessun equivalente negli altri paesi europei: è facile pensare che se la questione dovesse arrivare davanti alla Corte Europea potrebbe essere l’ennesima occasione di condanna per la nostra amministrazione, non solo inefficiente ma decisamente poco trasparente ed equa nei confronti dei cittadini.