2013: nero per Confindustria. Partite Iva fuori gioco
Buon’ultima nella sfilza di corvacci che continuano a prevedere nuove valanghe di disastri per la nostra economia, anche Confindustria si mette a dare i numeri, chiaramente negativi. Il 4 giugno il suo presidente, Giorgio Squinzi, ha pubblicamente accusato la Cgil di essere «troppo pessimista» con le sue stime secondo le quali i livelli occupazionali del 2007 si torneranno a recuperare solo in 63 anni, nel 2076. Il giorno dopo il suo ufficio studi informa invece che «fra 2007 e 2012 il nostro sistema industriale ha perso il 15% capacità produttiva, per tornare ai livelli pre-crisi non basta la ripresa della domanda ma bisogna ricreare un bel pezzo di capacità produttiva». E aggiunge che «lo sviluppo industriale arriva solo se è perseguito con determinazione dalle politiche economiche».
Il documento di Confindustria spiega che fra 2007 e 2012 i posti di lavoro persi dall’industria sono stati 539mila, almeno il 10% del totale, con la magra consolazione che, Germania a parte, nelle altre economie industriali sviluppate è andata anche peggio. Ma «alla luce della dimensione raggiunta dai cali di attività e di fatturato rispetto alla situazione pre-crisi le imprese italiane saranno costrette a tagliare ulteriori posti di lavoro nei prossimi mesi». Come dire: mani avanti, il peggio non è passato, licenzieremo ancora. Quanto? Questo Confindustria non lo dice, ma spiega che per adesso la quota di cessazioni maggiori si è avuta nel farmaceutico, nel tessile, nella pelletteria e nell’abbigliamento. Altri settori industriali (come tutta la filiera legata all’editoria e ai media) probabilmente devono ancora vedere il grosso delle espulsioni, tenendo presente che si parla solo di industria, dunque non di costruzioni, agricoltura, trasporti, banche e assicurazioni, commercio al dettaglio e all’ingrosso, servizi in genere. Infatti i 539mila rappresentano probabilmente poco più di un terzo dei posti di lavoro effettivamente “evaporati” con la crisi, tenendo sempre presente che le partite Iva che non incassano nulla o troppo poco per tirare avanti non fanno numero, almeno finché la partita Iva non la chiudono.
Non si capisce bene dove e quanto la posizione di Confindustria sia meno pessimista di quella della Cgil. La situazione senza dubbio è nera, nerissima. Ma entrambi hanno tutto l’interesse a fare a gara a chi è più pessimista per cercare di attirare l’attenzione del governo e tirare la coperta dalla loro parte: il sindacato per ottenere il rifinanziamento della cassa integrazione e altre forme di aiuto alle aziende in crisi, gli industriali nella speranza che finalmente si sblocchino i pagamenti della PA e vengano alleggerite le tasse sul lavoro. Tutt’e due sembrano anche avere a cuore il fatto che non ci sia a luglio l’aumento dell’Iva.
Ma alle partite Iva invece che cosa converrebbe? L’obiettivo sindacale del rifinanziamento della cassa integrazione ci tocca in maniera trascurabile. Meglio sarebbe una riforma del welfare sul lavoro che preveda qualche forma di assistenza anche ai lavoratori autonomi che restano a piedi, purché sostenibile (il reddito di cittadinanza di Grillo, così come è stato ipotizzato, non lo è). L’alleggerimento delle tasse sul lavoro interessa tutti, così come il fatto che non aumenti l’Iva. Purtroppo il governo sembra semi- paralizzato. Per adesso ha dato un po’ di fiato solo all’edilizia con il rinnovo degli incentivi per ristrutturazioni e risparmio energetico. E si continua a discutere di una riforma dell’Imu sulla prima casa che alle partite Iva porta poco o nulla: meglio sarebbe togliere la doppia imposizione sugli immobili strumentali che oltre all’Imu (che dovrebbe essere detratta o dedotta in misura maggiore) scontano anche l’Irap.