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Boldrin: “Un’economia florida non ha bisogno di tante partite Iva”

Politica 13 Agosto 2013

“Se posso essere onesto, un’economia florida non ha bisogno di tante partite Iva. Tanti professionisti la aprono per ragioni fiscali e di contrattazione del mercato del lavoro. In un sistema economico che funzioni, ci dovrebbero essere più lavoratori dipendenti, con contratti flessibili ma ragionevoli”.

E’ la tesi di Michele Boldrin, economista e presidente di Fare per Fermare il Declino, secondo il quale il calo vertiginoso di nuove aperture di partite Iva, registrato negli ultimi mesi, non è stato causato dalla legge Fornero ma dalle difficoltà del Paese: “I titolari di partite Iva, nella generalità dei casi, offrono servizi di tipo professionale, dunque il loro futuro è legato alla crescita economica. Nel momento in cui l’economia perde posti di lavoro e non ne crea, è ovvio che diminuiscono anche le partite Iva”.

 

In un contesto come questo Boldrin è convinto che una parte del mondo delle partite Iva, se potesse scegliere di  “sparire”, lo farebbe: “Non per tutti ma per alcuni, soprattutto per i più giovani, la partita Iva è una scelta obbligata – ribadisce – In molti vivrebbero meglio all’interno di un’azienda con un contratto flessibile che, purtroppo, la legislazione italiana non permette. Se invece il Governo creasse un contratto unico con una flessibilità moderna, come accade negli altri Paesi, una parte del mondo delle partite Iva starebbe meglio”. Al contrario il Governo Letta, a giudizio del leader di Fare per Fermare il Declino, finora ha preso solo misure tampone: “Nonostante gli annunci, non c’è stato il coraggio di fare la prima mossa indispensabile: tagliare la spesa pubblica improduttiva. Gli esempi sono sempre gli stessi e ne cito alcuni: sussidi alle imprese (ci costano una ventina di miliardi); i costi folli dell’apparato centrale dello Stato burocratico e degli apparati regionali, dove buttiamo via 5-10 miliardi all’anno. Poi c’è la piaga delle pensioni di invalidità percepite da chi non ne avrebbe alcun diritto, uno spreco di 40 miliardi di euro. Questo fenomeno crea almeno tre gravissimi danni: ruba  risorse destinate a chi avrebbe realmente diritto a un sostegno sociale; crea una distorsione nel sistema del welfare, perché usa uno strumento al posto di altri eventuali sussidi più appropriati; infine, crea una rete di connivenze e clientelismi legati all’abuso nell’erogazione illecita di queste pensioni”.

 

Sempre sul piano previdenziale, per le partite Iva l’economista padovano propone una strada precisa: “Utilizzerei il seguente metodo: fisserei un minimo di contribuzione del 10-15% e poi il resto lo lascerei alla scelta del contribuente. Se quest’ultimo si fida del sistema INPS e vuole contribuire di più per avere una pensione più alta in futuro, lo fa; altrimenti sceglie la soluzione privata attraverso le forme della previdenza complementare. Oggi invece si “aggiustano” le aliquote di contribuzione soltanto per una ragione: ottenere risorse da spendere sulle pensioni che si sono già promesse”. Dunque, secondo Boldrin, il problema non è tanto la percentuale da versare: “Chi contribuisce deve avere un rendimento certo e proporzionale ai propri contributi”.

A proposito dell’aumento dei contributi alla gestione separata fino al 28% entro gennaio 2014 e poi al 33% entro il 2018 conclude: “Più che preoccuparmi di bloccarlo, cercherei di rendere l’intero sistema contributivo più equo, anche eliminando, oltre alle pensioni di invalidità ingiustificate, la piaga del prepensionamento e aumentando al contrario l’età minima”.

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