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Esportazioni, una boccata d’ossigeno dagli Usa

Politica 13 Luglio 2013

Unione europea, croce e delizia di noi cittadini. È questo ormai il ritornello che sta scalando la hit-parade dei Paesi aderenti alla Comunità del Vecchio Continente. E sì, perché se è indubbio che aver unito le forze ha portato molti benefici, da altri punti di vista la Ue continua a essere guardata con grande sospetto da più parti. Soprattutto quando il tema è l’economia. L’esempio più calzante in questo senso, anche per tante piccole partite Iva e tanti lavoratori autonomi, è rappresentato dalle norme che regolano l’importazione e l’esportazione di nostri prodotti. È chiaro a tutti che le nostre merci circolano ormai a livello mondiale sulla base di accordi che l’Unione europea sigla con altri Paesi, il tutto all’interno dell’Organizzazione mondiale del Commercio che dovrebbe presiedere a tutte le transazioni. Ebbene, quello che accade è che il Vecchio Continente, di nome e di fatto, risulta una delle zone dove è più facile esportare merci, mentre i nostri prodotti, nonostante tutti i proclami su globalizzazione, faticano a entrare negli altri Paesi.

 

Parola d’ordine: barriere non tariffarie

Quello a cui ci riferiamo non sono più solo i classici dazi doganali, quelli che una volta i singoli Stati decidevano di imporre su determinate merci per evitare che esse invadessero il proprio mercato interno e procurassero danni alle imprese locali attive nello stesso settore. L’arma più utilizzata ora è molto più sottile. Stiamo parlando delle cosiddette barriere non tariffarie. Classici esempi sono test di entrata sempre più costosi, procedure burocratiche ogni volta più complesse, documenti da leggere rigorosamente in lingua locale, certificazioni aggiuntive, etichette diverse da Paese a Paese, e via di questo passo. Stiamo insomma parlando di una vera e propria corsa a ostacoli per le merci estere, nella quale alcuni Paesi stanno diventando autentici specialisti. Basti pensare che da ottobre 2011 a maggio 2012 solo nell’area del G20, ossia dei venti Paesi più industrializzati al mondo, sarebbero state introdotte 124 nuove misure che andrebbero ad aggiungersi a quelle precedenti portando il totale a circa 800. In questo contesto, ci troviamo però di fronte Paesi come il Giappone che risulta tra i più chiusi al mondo, con difficoltà enormi per poter esportare, e realtà come la Ue, che invece rappresenta una delle aree di scambio più aperte al mondo. Basti pensare che a Bruxelles si arriva a introdurre un dazio su merci straniere solo dopo un’analisi che può durare anche nove mesi e solo come risposta a un eventuale comportamento scorretto. Il risultato è chiaro a tutti: le nostre merci faticano a circolare nel mondo, mentre noi europei siamo regolarmente invasi da prodotti provenienti da ogni dove.

 

La necessità di trovare accordi: via al patto Usa-Ue

In questo contesto appare comunque insensato scatenare guerre commerciali, come quella che è in corso tra Ue e Cina sul fronte dei pannelli solari. Il risultato potrebbe ulteriormente peggiorare la situazione, come sta accadendo alle nostre esportazioni di vino verso Pechino. La scelta più opportuna è quella che porta a nuovi e più efficaci accordi commerciali. Ci sono infatti molti settori,  in cui operano tanti lavoratori autonomi, che potrebbero trarre benefici da intese più trasparenti. Per esempio settori come quello della pelletteria, dell’oreficeria, dell’automotive, per non parlare dell’abbigliamento e dell’agro-alimentare. In questo senso allora è quanto mai significativa l’apertura proprio in questo ore di una trattativa sull’export tra Ue e Stati Uniti. Anche a Washington negli ultimi tempi si è scelta la via delle barriere non tariffarie per creare ostacoli alle importazioni. Raggiungere allora un accordo con gli Stati Uniti potrebbe essere quanto mai utile, anche perché è stato stimato che le nostre esportazioni potrebbero aumentare del 18%. Si tratterebbe dunque di un segnale davvero positivo in un periodo in cui la crisi continua a far sentire il suo peso oramai insopportabile.

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