Popolo delle partite Iva, sempre più povero e maltrattato

Una partita Iva su quattro è sotto il livello della povertà calcolata dall’Istat. A lanciare l’allarme è la Cgia di Mestre secondo al quale lo scorso anno il 25% delle famiglie italiane con reddito principale derivante da lavoro autonomo ha vissuto con una disponibilità economica inferiore a 9.455 euro annui (ossia il livello di povertà totale calcolata dall’Istat). Il dato se da un lato getta nello sconforto, dall’altro deve far riflettere sulla situazione davvero difficile che molte partite Iva stanno attraversando.
Gli autonomi sono la categoria messa peggio!
Gli autonomi sono la categoria messa peggio, poiché per le famiglie con reddito da pensioni o da lavoro dipendente la percentuale al di sotto della soglia di povertà è stata rispettivamente del 21% e del 14,6%.
Cinque punti in quattro anni
Tra il 2010 e il 2014 la quota di famiglie in brutte condizioni economiche è aumentata di 1,2 punti percentuali. Per i pensionati la povertà è scesa dell’1%, tra i dipendenti è aumentata dell’1%, mentre tra il dato che rattrista è che tra il popolo delle partite Iva l’incremento è stato del 5,1%. Insomma lo studio della Cgia certifica una situazione ormai insostenibile.
La questione non va affrontata ipotizzando di togliere alcune garanzie ai lavoratori dipendenti per darle agli autonomi!
“Purtroppo – ha evidenziato il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – questi dati dimostrano che la precarietà presente nel mondo del lavoro si concentra soprattutto tra il popolo delle partite Iva. Sia chiaro, la questione non va affrontata ipotizzando di togliere alcune garanzie ai lavoratori dipendenti per darle agli autonomi, ma allargando l’impiego di alcuni ammortizzatori sociali anche a questi ultimi che, almeno in parte, dovrebbero finanziarseli”.
Servono ammortizzatori per il popolo delle partite Iva
“Quando un lavoratore dipendente perde momentaneamente il posto di lavoro – ha continuato Zabeo – può disporre di diverse misure di sostegno al reddito. E nel caso venga licenziato può contare anche su una indennità di disoccupazione. Un autonomo, invece, non ha alcun paracadute. Una volta chiusa l’attività è costretto a rimettersi in gioco affrontando una serie di sfide per molti versi impossibili. Oggigiorno è difficile trovare un’altra occupazione; l’età spesso non più giovanissima e le difficoltà congiunturali costituiscono un ostacolo insormontabile al reinserimento nel mondo del lavoro”.
Dal 2008 al 2015 gli autonomi sono diminuiti di quasi 260 mila unità!
Secondo la Cgia dal 2008 al 2015 gli autonomi (quindi i piccoli imprenditori, gli artigiani, i commercianti, i liberi professionisti) sono diminuiti di quasi 260 mila unità: il 4,8%. I lavoratori dipendenti, invece, si sono ridotti di 408.400 unità, cioè il 2,4%, meno della metà rispetto alle partite Iva.
Emilia Romagna la più colpita
Dall’inizio della crisi gli autonomi hanno segnato la riduzione peggiore in Emilia Romagna (-14,6%), in Campania (-13,7%) e in Calabria (-13,3%). Di rilievo, invece, l’aumento segnato dal Lazio (+10,1%) e dal Veneto (+5,3%).
“Non è da escludere – ha spiegato Zabeo – che l’incremento registrato in Veneto sia in buona parte dovuto alle decisioni prese da molte aziende che, a seguito della crisi, hanno trasformato il rapporto di lavoro di molti dipendenti in forme di lavoro autonomo, invitando molte persone ad aprirsi la partita Iva”.