Moffa: “Calano le partite Iva? La colpa è dei sindacati”

Non usa mezzi termini Silvano Moffa, già presidente della commissione lavoro alla Camera nella scorsa legislatura, quando commenta gli ultimi dati relativi alla disoccupazione e al calo delle partite Iva in Italia: i sindacati hanno una grande responsabilità. “Anche nei momenti più caldi della discussione sulla riforma Fornero, la loro posizione rispetto alle partite Iva era molto tenue. Si preoccupavano dei problemi dei cassaintegrati o dell’articolo 18, ma parlavano poco o nulla dei professionisti. Calcavano, anzi, la mano sul fatto che le partite Iva spesso sono un espediente per mascherare il lavoro dipendente: questo è diventato il paradigma della riforma, quando invece l’anomalia poteva essere contrastata con il controllo dell’Inail. La contraddizione è che i controlli Inail non partiranno prima del 2014-2015. Inoltre, avendo ridotto l’area della flessibilità in entrata, non c’è stato il rinnovo dei contratti atipici. Il risultato è che oggi abbiamo più precari, un aumento della disoccupazione enorme e una caduta delle partite Iva”.
Numeri negativi
Il calo delle partite Iva è confermato dai numeri: a marzo 2013 si registravano il -21% per le persone fisiche e il -17% per le società di persone. Secondo Moffa, il dito è da puntare contro la riforma Fornero: “Oggi è enormemente più vantaggioso il regime dei minimi, soprattutto per gli under 35 che possono avvalersi dell’imposta sostitutiva del 5% e di un limite del fatturato di 30mila euro. La legge sbaglia quando prevede per le partite Iva la soglia dei 18mila euro: è un tetto che va rivisto”.
Non meno preoccupante è la situazione sul fronte delle tutele e del sistema previdenziale. “Innanzitutto non c’è mai stata l’auspicata universalizzazione degli ammortizzatori sociali. Inoltre noi avevamo cercato di trasformare una parte dell’ammortizzatore sociale in un incentivo per la nascita di nuove imprese, ma il disegno di legge fu approvato alla Camera e non al Senato” continua Moffa. “D’altro canto la riforma pensionistica è stata fatta per fare cassa e non per risolvere i problemi. È chiaro che in Italia avremmo dovuto incentivare la previdenza complementare per dare spazio ai lavoratori autonomi e per costruire un pacchetto previdenziale che assicurasse una pensione decente…”
Cambiamento radicale
Secondo il leader di Azione Popolare in Italia abbiamo bisogno anche di un cambiamento radicale del sistema fiscale. “Se continuiamo a intervenire con riforme abborracciate, il problema sarà sempre affrontato in modo frazionato. Ce la stiamo prendendo con Equitalia che è un mero esecutore. Passare in capo ai comuni il potere esattoriale e il potere di riscossione è esattamente un passo indietro che rischia di scaricare un maggiore peso sul libero imprenditore, sul cittadino, sulla partita Iva. Il pericolo è aumentare l’evasione fiscale, che non sta affatto diminuendo: oggi siamo a 140 miliardi euro”.
Come valorizzare allora il lavoro autonomo, soprattutto in un momento in cui si parla tanto di staffetta tra giovani e anziani? “Il lavoro non si crea né per decreto né attraverso leggi ma rimettendo in moto le attività produttive. Per i giovani ritorna il discorso dell’apprendistato che non riesce a decollare perché mancano i decreti attuativi e perché un’impresa viene posta di fronte a onori produttivi troppo pesanti, soprattutto nei primi 3-4 anni di attività. Sburocratizzazione, alleggerimento degli onori fiscali e collegamento tra mondo formativo e mondo imprenditoriale: ecco la mia ricetta per il rilancio di questo Paese”.