Tagliare la politica? Risparmieremmo 10 miliardi all’anno
Giovedì 28 febbraio abbiamo pubblicato sul nostro sito l’articolo Reddito di cittadinanza? E io pago . Abbiamo provato a calcolare quanto costerebbe all’Italia, e quindi a noi contribuenti, la proposta di Grillo di dare mille euro al mese ai disoccupati. Dunque, l’obiettivo era chiaro: capire l’incidenza economica della proposta del Movimento 5 Stelle. Risultato: dare mille euro al mese ai 3 milioni di disoccupati che l’Istat ha registrato a febbraio in Italia costerebbe circa 45 miliardi all’anno. Senza contare il fatto che i sindacati Cgil, Cisl e Uil stimano in altri due milioni i posti di lavoro a rischio in Italia entro al 2013. E senza contare gli oltre 14 milioni di “inoccupati” (persone adulte che non lavorano) registrati dall’Istat a fine 2012, fra cui molti “scoraggiati”, cioè persone che non si definiscono disoccupati solo perché pensano che non troverebbero comunque lavoro (ma che un domani potrebbero allungare una mano per chiedere i mille euro). Grillo invece sostiene nel suo blog che “basterebbero” 8 miliardi all’anno. Ma non è chiaro affatto dando cosa a chi.
Di che cifra complessiva stiamo parlando? E come finanziare un eventuale reddito di cittadinanza senza gravare di altre tasse i cittadini italiani?
Fra chi ha partecipato alla discussione sul tema su questo sito (e in altri luoghi della rete) molti hanno citato quello che ha detto Grillo nel suo blog o quella che pensano possa essere la panacea di tutti i mali, ovvero:
- Tagliare i costi della politica;
- Tagliare le province e accorpare i comuni sotto i 5.000 abitanti;
- Abolire i contributi pubblici all’editoria.
Da qui potrebbero venire i fondi per finanziare il reddito di cittadinanza. Ma è proprio così? Purtroppo no.
Perché i costi della politica (nazionale, regionale, locale) nel 2012 ammontavano complessivamente a 23,9 miliardi (1,5% del Pil, poco meno del gettito Imu del 2012). Dunque molto meno dei 45 miliardi che noi stimiamo servirebbero a dare a tutti i disoccupati un reddito di cittadinanza.
La stima di 23,9 miliardi è stata fatta lo scorso luglio dalla Uil Pensionati sulla base dei dati riportati nel bilancio dello Stato e comprende stipendi, indennità, rimborsi di ministri, sottosegretari, deputati (nazionali ed europei), senatori, assessori regionali, provinciali, comunali più i vitalizi degli ex eletti, più le retribuzioni dei dipendenti dei ministeri e di Camera, Senato, Regioni, Provincie, comuni, i 2 miliardi di incarichi e consulenze e la quota di rimborsi elettorali ai partiti (2,2 miliardi in 15 anni) e gli emolumenti dei 24 mila consiglieri di amministrazione delle circa 7 mila società pubbliche che assorbono circa 2,6 miliardi all’anno. Sempre secondo lo studio della UIL le persone che “vivono di politica” in Italia sono 1,1 milioni, circa il 5% degli occupati.
In ogni caso i 23,9 miliardi non potrebbero essere tagliati del tutto, salvo ipotizzare un’anarchia pauperistica dove lo stato non c’è o non costa nulla: la Uil ipotizza un possibile risparmio complessivo di 10,4 miliardi all’anno dalla riduzione dei costi della politica in previsione anche dell’abolizione dell’accorpamento delle provincie così come era stato previsto dal Governo Monti.
E i fondi per l’editoria? Nel 2012 ammontavano a 198 milioni. Abolendo anche quelli si arriva a un risparmio complessivo di 10,6 miliardi, ma si aumenta di botto anche il numero dei disoccupati (fra politici, impiegati pubblici, giornalisti e poligrafici) di almeno mezzo milione di persone.
In ogni caso, comunque, i conti non tornano. Perché il programma “sociale” del Movimento 5 stelle non prevede solo il reddito di cittadinanza (per il quale stima appunto un costo di 8 miliardi, anche se non si capisce dando cosa a chi), ma anche l’abolizione dell’Imu sulla prima casa (costo 4 miliardi) e dell’Irap sul costo del lavoro (costo complessivo 33 miliardi o 2 miliardi ogni punto percentuale in meno, stima del Sole 24 Ore). Insomma, siamo sempre a 45 miliardi di costo aggiuntivo per le casse pubbliche con risparmi possibili per 10,6 e una bella impennata della disoccupazione. Se non ce lo spiegano meglio, come programma, rischia di innescare un’altra stretta di consumi e occupazione da far rimpiangere amaramente il Governo Monti.