Un tranquillo lunedì di paura
Finito il (vergognoso) tormentone dell’elezione del Presidente della Repubblica che ha distratto gli italiani per tutto il weekend la settimana si apre con una scarica di cattive notizie economiche da far tremare i polsi, riprendendo l’ormai quasi tradizionale usanza di comunicare le catastrofi di lunedì. La prima è che secondo l’Istat in Italia a fine 2012 le famiglie che non hanno nessun reddito da lavoro (o da pensione) hanno quasi raggiunto la cifra di un milione (955 mila) di cui più della metà (495 mila, il 51,8%) si trova nel Sud e nelle Isole. Lo hanno annunciato con il solito tono da funerale tutti i telegiornali nazionali, evitando di dire che si tratta di una cifra ampiamente prevedibile visti i dati già noti sulla disoccupazione (11,3% a dicembre 2012, pari a 2,7 milioni di persone, la percentuale è sul totale della popolazione attiva) e sulla povertà (secondo la Confcommercio nel 2013 riguarderà almeno 4 milioni di persone, pari al 6,6% della popolazione). In fondo si tratta “solo” del 4,3% delle famiglie, al netto di quanti non hanno un reddito disponibile apparente, dunque senza contare la famosa “economia sommersa” che secondo l’Associazione Contribuenti Italiani nel 2012 avrebbe “pesato” per 346 miliardi pari al 21,4% del Pil. Dunque le famiglie “apparentemente” senza reddito sarebbero più ricche di quelle che il reddito invece lo dichiarano? Andiamoci piano. Di sicuro il dato diffuso dall’Istat è preoccupante soprattutto perché le famiglie senza nessun componente che lavori in un solo anno (fra fine 2011 e fine 2012) sono aumentate del 32,3% ben più dell’aumento ufficiale della disoccupazione nello stesso periodo.
E le pensioni chi le paga?
Come sempre sui dati Istat pesano alcuni equivoci: la confusione fra disoccupati e inoccupati (per i quali siamo probabilmente primi in Europa) e il fatto che l’aumento ufficiale dei disoccupati viene sistematicamente calcolato solo sui dipendenti. Le partite Iva che l’anno scorso hanno guadagnato poco o nulla entrano nel novero di chi ha cessato l’attività solo se chiudono la loro posizione… Con un problema in più che l’Istat ha comunicato sempre questo lunedì. Le nuove proiezioni sull’aumento delle persone che andranno in pensione nei prossimi 20 anni rendono molto problematica la tenuta dei conti previdenziali, con tanti saluti per i conteggi fatti fare dal ministro del welfare Elsa Fornero solo l’anno scorso. Nel 2030, infatti, l’Istat rivela che gli anziani (sopra i 65 anni) in Italia saranno circa 16,3 milioni, il 31,4% in più di oggi, quasi il 27% della popolazione prevista di 61,6 milioni. Alla stessa data gli ultraottantenni saranno 5,1 milioni, il 40,5% in più di oggi, l’8,3% della popolazione. Se nel frattempo non ci sarà una ripresa importante del lavoro (e dunque del pagamento dei contributi) chi manterrà queste persone? E come si può pensare di abbattere il peso fiscale e parafiscale sul lavoro se dovremo pagare tutti questi contributi? Insomma, di certo non una buona notizia.
E la Germania?
Intanto peggiorano i conti della Germania, locomotiva d’Europa (+0,3% il Pil previsto quest’anno contro il -1,5% previsto per Italia e Spagna) e il Fondo Monetario Internazionale, sempre di lunedì, ci fa sapere che “è giunto il momento di dare più ossigeno all’economia” attenuando la politica di rigore fin qui perseguita da Berlino e imposta al sud Europa. Peccato che, come ha raccontato sabato il vicedirettore della Stampa Massimo Gramellini, la scorsa settimana il maggior periodico tedesco, il settimanale Der Spiegel, abbia dichiarato senza mezzi termini che “le famiglie italiane sono più ricche di quelle tedesche. Dunque non possono essere i tedeschi a pagare il loro debito pubblico. Facciano una patrimoniale…”. Anche se in realtà non è vero: il 58% della ricchezza degli italiani è rappresentato da immobili dal valore incerto ma che certamente non sono facilmente liquidabili oggi. Ma questo non sembra contare per il settimanale tedesco, politicamente vicino alla cancelliera Merkel, la quale sostiene che non paghiamo ancora abbastanza tasse. Insomma, l’esatto contrario di quello che sostiene il Fondo Monetario Internazionale. Se il settimanale venisse ascoltato finirebbe per condannare l’Italia a un abisso di povertà e a una rabbia sociale senza confini. Oltre naturalmente a chiudere il nostro mercato alle merci tedesche. Qualsiasi sia il governo che sta per nascere, non avrà di fronte impegni da ridere…