Ma la riforma del lavoro autonomo serve a qualcosa?

«Non chiamatela riforma», ha esordito il giuslavorista Adalberto Perulli, docente a Venezia, «perché non riforma un bel niente. Caso mai si occupa di materie professionali che prima non erano normate, i cosiddetti Professionisti 2.0 che hanno come tratto comune quello di voler essere autonomi (dunque non precari costretti ad aprire una partita Iva) e di non fare capo a professioni con un ordine o albo professionale riconosciuto per legge. Con questa norma hanno un riconoscimento parziale che sembra “scimmiottare” la disciplina degli ordini senza introdurre però né l’esame di Stato né l’obbligatorietà di iscrizione. Con una novità in più rispetto alla definizione dei professionisti data dal codice del consumo: riguarda non solo i lavoratori autonomi e gli imprenditori ma anche i lavoratori dipendenti, creando potenzialmente non poche confusioni. E un solo obbligo: citare sempre la norma nei contratti. Il professionista dovrà sempre dichiarare di essere tale “ai sensi della legge numero 4 2013”».
Qualche dubbio, sull’efficacia della legge, lo aveva già espresso la padrona di casa, Roberta Semenza, sociologa del lavoro dell’Università Statale di Milano (dove si è tenuto il dibattito), dicendo che «i casi sono tre: c’è chi sostiene che questa legge è meglio di nulla, perché riconosce ufficialmente delle figure professionali che prima non lo erano e le associazioni che le rappresentano. C’è chi dice che questa legge è dannosa perché in realtà non tocca i problemi principali delle categorie interessate e sembra disegnata per dare protezione non al professionista ma al suo cliente o committente, considerato sempre “parte debole” anche quando non lo è affatto (per esempio se si tratta di grandi aziende o della Pubblica amministrazione). Infine ci sono molti che sostengono che questa legge non cambia nulla, dunque è inutile». Alla fine della serata di discussione, chiudendo i lavori, Renata Semenza ha ammesso che «non ho certo le idee più chiare rispetto a prima della discussione».
Partigiani e ribelli
Il maggior sostenitore della norma, nella discussione, è risultato Giuseppe Lupoi, presidente del Colap (Libere Associazioni Professionali), che ha detto che con questa legge assumono dignità professionale categorie che prima non erano riconosciute, che è giusto che anche i dipendenti possano far parte delle categorie professionali perché questo avviene anche in molte professioni “ordinistiche” (architetti, ingegneri, giornalisti, medici, eccetera) e che il riconoscimento delle associazioni di rappresentanza (a cui associarsi non è però obbligatorio) e in particolare delle associazioni di secondo livello consente di avere maggior peso politico. La maggior denigratrice è stata Anna Soru, presidente di Acta (Consulenti Terziario Avanzato) che vede questa norma come «un contentino che rischia di bloccare le azioni legislative in favore delle maggiori tutele di cui la categoria ha bisogno». Con in più una sostanziale confusione quando parla di certificazione di qualità dei processi di alcune attività professionali (norme Uni e Iso 9.000) che per altre sono impossibili. «Allo stato attuale anche una cartomante può definirsi professionista ai sensi della 4/2013 senza tema di essere smentita».
Punti clamorosamente assenti dalla legge: garanzie e tempi di pagamento per i professionisti, un welfare (sussidi di disoccupazione, pensioni), un quadro deontologico chiaro come hanno ricordato Davide Imola, responsabile nazionale professioni della Cgil e Sergio Bologna, esponente di Acta e per lungo tempo docente di storia del lavoro in diverse università italiane.
Insomma, una legge che, nel migliore dei casi, non basta a definire lo stato dei “nuovi” professionisti, chi sono, cosa fanno quanto guadagnano e che avrebbe già bisogno di “una riforma della riforma”, come hanno ammesso anche gli esponenti del Colap che la hanno sostenuta. Senza dimenticare che c’è almeno un soggetto pubblico che però tutte queste cose dice di saperle perfettamente: l’Agenzia delle Entrate, che con gli studi di settore dice a tutti quanto (dovrebbero) guadagnare…