Roma, 28 dicembre 2025 – Ieri sera a Palazzo Chigi è arrivata una novità che molti aspettavano, ma che farà discutere: l’aliquota del 26% sull’imposta sostitutiva per i redditi derivanti dalle stablecoin. Una misura che coinvolge da vicino migliaia di risparmiatori italiani e anche una fetta di piccoli investitori. L’obiettivo del governo è chiaro: mettere un freno al quadro fiscale spesso troppo vago intorno a questi asset digitali, quelli più “stabili” perché legati al valore di valute tradizionali come il dollaro o l’euro.
Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha spiegato ieri sera, durante la conferenza stampa delle 20, che dal primo gennaio 2026 i guadagni ottenuti con le stablecoin saranno tassati al 26%, come già accade per altri strumenti finanziari non convenzionali. La mossa punta a colmare un vuoto fiscale più volte segnalato dalla Banca d’Italia e dalla Consob.
“È una questione di equità – ha detto Giorgetti davanti alle telecamere – chi guadagna con queste attività deve contribuire come tutti gli altri”. La decisione era nell’aria da settimane, soprattutto alla luce della crescita del settore. Secondo l’Osservatorio Blockchain del Politecnico di Milano, nel corso dell’ultimo anno il volume delle transazioni in stablecoin in Italia ha superato i 5 miliardi di euro.
Per chi non è pratico, le stablecoin sono criptovalute collegate a un valore stabile, quasi sempre una valuta ufficiale. Tra le più note ci sono Tether (USDT), USD Coin (USDC) e DAI. A differenza di Bitcoin o Ethereum, queste monete puntano a mantenere un valore costante e non subiscono forti oscillazioni. Per questo sono usate soprattutto quando i mercati sono turbolenti o per spostare velocemente fondi tra piattaforme.
Finora la tassazione delle stablecoin era poco chiara. I guadagni venivano trattati come quelli delle altre criptovalute solo in certi casi, lasciando spazio a interpretazioni diverse e confusione tra i contribuenti. Con la manovra del 2026 cambia tutto: ogni plusvalenza realizzata con stablecoin pagherà l’imposta sostitutiva del 26%, come per gli investimenti finanziari tradizionali.
A livello internazionale, l’Italia si mette al passo con altri Paesi europei. Germania e Francia hanno già regole fiscali specifiche sulle stablecoin, anche se con aliquote spesso più basse. “Servono regole uniformi – spiega Federico Dalla Valle, docente di diritto tributario digitale alla Sapienza – così si evitano trucchi fiscali e si tutela il sistema”. Il tema è caldo anche a Bruxelles, dove si discute della normativa “MiCA” sulle valute digitali, pronta a entrare in vigore nel 2026.
In Italia gli operatori reagiscono senza sorprese. Andrea Ferraris, numero uno della piattaforma crypto BitIT, commenta senza fronzoli: “Sapevamo che prima o poi sarebbe arrivata una stretta fiscale sulle stablecoin. Ora serve chiarezza”. Intanto dagli sportelli online degli exchange arrivano già molte richieste di chiarimenti sulle nuove regole per la dichiarazione dei redditi e sulla possibile retroattività della norma. Su questo punto il ministero ha chiarito che la tassa varrà solo per le operazioni chiuse dal primo gennaio 2026 in poi.
Per chi investe in stablecoin, questa nuova tassa non dovrebbe stravolgere le strategie in atto. Molti li usano soprattutto come passaggio verso altri strumenti digitali o come deposito temporaneo di valore. Però – avvertono dal Centro Studi Fiscalità Digitale – “la tassa al 26% potrebbe ridurre le operazioni speculative a breve termine”. Resta però un punto critico: controllare tutte le transazioni crypto è complicato. Gli esperti si chiedono come l’Agenzia delle Entrate riuscirà davvero a tenere sotto controllo questi movimenti.
Sul piano politico l’opposizione incalza. Elly Schlein (PD) accusa il governo di voler “fare cassa su un settore ancora giovane”, mentre Carlo Calenda chiede “una legge organica per tutte le valute digitali, non solo per le stablecoin”. Il dibattito sarà lungo: nel calendario delle commissioni sono già fissate audizioni con esperti fintech e associazioni dei consumatori.
L’introduzione della nuova imposta sulle stablecoin segna un passo deciso verso una regolamentazione più trasparente degli asset digitali nel nostro sistema fiscale. Ora resta da vedere se questo provvedimento riuscirà davvero ad aumentare le entrate statali o se spingerà gli investitori verso piattaforme estere meno controllate. Da via XX Settembre assicurano: “Vogliamo regole chiare senza frenare l’innovazione”, ha ribadito ieri sera Giorgetti.
Il verdetto arriverà nei prossimi mesi, quando i contribuenti dovranno fare i conti con la dichiarazione dei redditi 2026 e gli operatori dovranno mettere in pratica le nuove regole. Nel frattempo però il quadro normativo diventa meno incerto: le stablecoin entrano ufficialmente nella fiscalità italiana.
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