Crolla l’occupazione: in Italia chiudono 136 negozi al giorno

Due notizie sui giornali, dietro alla cortina fumogena di altre informazioni di poco conto piazzati nelle prime pagine.
Primo: l’Istat ci informa che fra 2010 e 2013 (dati riferiti al secondo trimestre) è crollato il numero degli under 35 che lavorano in Italia, da 6,3 a 5,3 milioni: meno 16% in quattro anni (2010, 2011, 2012, 2013) e non in tre come hanno scritto molti giornali, con il tasso di occupazione che è sceso dal 65,9% (già bassino) al 60,2% (era il 70,1% a fine 2007). In altre parole su dieci giovani, quattro sono senza lavoro.
Contemporaneamente la Comitas, associazione di piccole e microimprese italiane, informa che fra 2011 e 2012 i negozi al dettaglio in Italia sono scesi da 757mila a 707mila, con 49mila chiusure in un anno (-6,7%) che diventano 74.500 da fine 2011 a settembre 2013 (quasi il 10% in meno di due anni) a ritmo di 136 negozi chiusi al giorno. A fine anno il saldo potrebbe essere di 100mila esercizi in meno (-13,2%) in due anni. Più di 300mila i posti di lavoro persi da gennaio 2011 e settembre 2013.
Nessuna polemica, per carità. Nessuna rivendicazione di primati degli autonomi sui dipendenti, anche perché le due cose vanno di pari passo: se non ci sono dipendenti con stipendi da spendere, nessuno mette un euro su servizi e commercio e l’economia continua ad avvitarsi. Molti dei giovani che non lavorano più probabilmente sono ex commessi dei negozi che hanno chiuso, vengono conteggiati da una parte e dall’altra. Ma quanto ci vuole per capire che le emergenze gravi in Italia non sono solo i giovani che non trovano un posto di lavoro, ma anche le serrande che sia abbassano, gli autonomi che non trovano clienti paganti oltre ai quaranta-cinquantenni che non riescono più a riciclarsi?
Mario Draghi, dalla sua alta poltrona alla Bce, lo ha ripetuto: la ripresa rimarrà fragile finché non ci sarà ripresa dell’occupazione e se le banche non torneranno a finanziare le piccole e medie imprese e gli autonomi. Qualsiasi politica (anche di taglio fiscale) deve tendere a privilegiare il lavoro. E invece l’unico taglio promesso, per adesso, è quello dell’Imu, che sul lavoro non avrà nessun effetto o quasi (agricoltura a parte, visto che gli unici immobili produttivi equiparati alle prime case sono quelli agricoli). Qualcosa continua a non tornare.