Imu, il Governo promette e i Comuni tassano
Imu sì, imu no. Sembra un po’ paradossale il dibattito politico di questi giorni sull’imposta municipale unica, cioè la tassa meno amata dagli italiani che colpisce tutti gli immobili, dalla prima casa alle abitazioni secondarie, dai negozi ai capannoni industriali. A pochi mesi dalla scadenza della prima rata dell’imposta, infatti, milioni di contribuenti italiani non sanno ancora se dovranno pagarla o meno, come hanno fatto lo scorso anno, quando nelle casse dello Stato entrarono oltre 23 miliardi di euro.
Le promesse di Letta e la realtà dei conti pubblici
Nonostante le ripetute promesse di abolire l’imposta, in realtà il governo guidato da Enrico Letta non ha ancora deciso nulla di definitivo. Probabilmente il versamento della prima rata verrà sospeso per un po’, almeno per le abitazioni principali e forse (ma non è sicuro) anche per i capannoni industriali e commerciali. Poi, entro il prossimo mese di settembre, l’esecutivo provvederà a riordinare tutto il sistema della tassazione sulla casa, rendendolo (questa è la promessa) il più indolore possibile. È bene però che i contribuenti italiani non si facciano troppe illusioni, a cominciare dalle partite Iva e dai piccoli imprenditori. Mentre la cancellazione dell’Imu sulla prima casa è probabile, assai difficile (se non impossibile) è invece il taglio dell’imposta sui fabbricati delle aziende o dei liberi professionisti. Dei 23,7 miliardi di euro che lo Stato incassa con l’Imu quasi la metà arrivano dal mondo delle imprese: 5,2 miliardi da ditte individuali e 6,5 miliardi da società. Il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni non può rinunciare a questo tesoretto e ha dunque chiesto un po’ di tempo per “trovare la quadra”, cioè per studiare come si può togliere l’Imu sulla prima casa (che lo scorso anno ha generato 4 miliardi di euro di entrate) e per vedere se è possibile sospendere per un po’ anche quella a carico delle imprese. In autunno, però, tutto potrebbe tornare come prima, fatta eccezione per le abitazioni principali.
I Comuni battono cassa
Mentre Letta e Saccomanni fanno proclami, però, alcuni Comuni sono pronti a mettere le mani nelle tasche dei cittadini, partite Iva comprese. Ovviamente. A dirlo sono le rilevazioni della Cgia (la Confederazione degli artigiani di Mestre), secondo cui 35 sindaci italiani (di città capoluogo di provincia) hanno già deciso le aliquote dell’Imu per il 2013. Di questi, circa 12 hanno scelto di aumentare la tassa, benché non si sappia ancora come e quando verrà pagata. Alcune amministrazioni come quelle di Benevento, Bologna, Frosinone e Verona, hanno preferito innalzare l’imposta sulla prima casa mentre altri Comuni, da Aosta a Barletta, passando per Lucca, Ferrara e Treviso, hanno scelto di tartassare l’abitazione secondaria. Alcuni sindaci, come quelli di La Spezia e Cuneo, hanno preferito invece concentrare i rincari sui capannoni industriali, come se non fosse stata sufficiente la stangata dello scorso anno.
Aumenti da brivido
Per le attività produttive, infatti, nel 2012 l’Imu è stata una vera e propria spina nel fianco. Rispetto a quando si pagava la vecchia Ici, l’ufficio studi della Cgia ha calcolato degli aumenti record a carico delle imprese. L’anno scorso, per esempio, gli uffici dei liberi professionisti con la partita Iva hanno pagato quasi il 128% in più, i negozi commerciali il 123,5%, i laboratori artigianali oltre il 93%, gli alberghi quasi il 71%, mentre i centri commerciali e i piccoli o grandi capannoni industriali hanno registrato un aumento attorno al 70%. “Si tratta di rincari da brivido”, ha commentato il segretario generale della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi, che ha lanciato un appello ai sindaci affinché non ritocchino all’insù le aliquote dell’Imu di tutti gli immobili destinati alle attività produttive. Con l’aria che tira, però, è difficile che siano in molti a dargli ascolto.