Milano, 1 dicembre 2025 – La Corte di Cassazione, con la sentenza diffusa questa mattina a Roma, ha chiarito un punto cruciale: non si può limitare la confisca solo al guadagno diretto dell’autoriciclatore. I giudici della Seconda Sezione penale hanno stabilito che la misura deve estendersi a tutti i beni o valori legati alle operazioni illecite, non solo ai vantaggi personali dell’imputato.
Al centro della decisione c’è il caso di un imprenditore lombardo accusato di autoriciclaggio. L’uomo avrebbe reinvestito soldi provenienti da reati fiscali attraverso movimenti finanziari tra Milano e Lugano. Gli avvocati difensori sostenevano che la confisca dovesse riguardare solo il denaro “usato” personalmente dall’imputato, cioè quello con cui aveva fatto acquisti o investimenti a suo nome. Ma per la Cassazione questa lettura non regge.
“La legge”, spiegano i giudici nelle motivazioni depositate poco prima delle 10, “non permette di restringere la confisca al solo vantaggio conseguito. La misura deve colpire tutto ciò che deriva dalle attività di riciclaggio, senza tagli legati al beneficio effettivo ottenuto”.
Il reato di autoriciclaggio, introdotto nel 2014 con l’articolo 648-ter.1 del codice penale, punisce chi utilizza o sposta denaro e beni provenienti da crimini gravi all’interno di attività economiche o finanziarie. Negli ultimi anni, in particolare in Lombardia e Veneto, le procure hanno intensificato le indagini su questi casi, guardando con attenzione al mercato immobiliare e ai trasferimenti all’estero.
L’ultimo report della Guardia di Finanza segnala oltre 270 indagini aperte per autoriciclaggio da gennaio a ottobre 2025 in tutta Italia. In metà dei casi si sono decisi sequestri preventivi su conti e immobili. Secondo fonti giudiziarie milanesi, la sentenza della Cassazione oggi detta una linea chiara: la confisca riguarda tutti i beni coinvolti nell’illecito, non solo quelli che si traducono in un vantaggio personale.
La pronuncia pesa anche sulle strategie degli avvocati. “Con questo orientamento”, spiega l’avvocato penalista Paolo Mancini a alanews.it, “diventa molto più difficile ridurre le misure cautelari dimostrando che l’imputato ha beneficiato solo in parte dei proventi illeciti”. In passato questa tattica aveva qualche chance; ora sembra quasi chiusa.
La Cassazione motiva così: “La confisca serve a evitare che anche una parte del denaro riciclato torni nelle mani del colpevole”. Tradotto significa più sequestri e una stretta più netta sul giro nero dell’economia sommersa.
Nei tribunali milanesi la sentenza è già tema caldo fin dalle prime ore del mattino. Per alcuni magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia si tratta di uno strumento più efficace per combattere reati finanziari complessi. Spesso infatti i beni passano attraverso vari passaggi proprio per nasconderne la provenienza.
“Per chi lavora ogni giorno su questi crimini – commenta un sostituto procuratore coinvolto – la sentenza elimina dubbi interpretativi”. Qualche legale però mette le mani avanti sulla durezza della posizione: “Bisogna sempre salvaguardare i diritti della difesa”, avverte l’avvocato Monica Lauri da Brescia. Un problema serio quando rischiano di essere colpiti anche soggetti estranei alla vicenda.
Fonti del Ministero della Giustizia vedono nella decisione un possibile aumento delle confische nei processi per autoriciclaggio, soprattutto nei settori a rischio come edilizia e finanza. Resta da capire come i tribunali valuteranno caso per caso, specie sulla provenienza effettiva dei beni.
Solo col tempo capiremo quanto peserà davvero questa svolta sulle strategie di accusa e difesa. Intanto è certo che il principio espresso dalla Cassazione impone un cambio nella gestione delle misure cautelari sui patrimoni sospetti. Le condizioni per ottenere il dissequestro si fanno più rigide, con effetti concreti già nelle prossime settimane in molte aule di giustizia.
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