Roma, 2 dicembre 2025 – Dal momento in cui prende in mano la gestione di un fallimento, il curatore fallimentare ha diritto di accedere a tutti gli elementi impositivi riguardanti il soggetto coinvolto nella procedura concorsuale. Lo stabilisce la prassi consolidata e la giurisprudenza più recente, che impone sia all’Agenzia delle Entrate sia agli altri enti fiscali di fornire ogni dato utile. Non solo i debiti già accertati, ma anche quelli potenziali, le situazioni aperte, i contenziosi in corso e perfino le cartelle esattoriali non ancora notificate.
Il curatore: l’ago della bilancia nella gestione fiscale
Il compito del curatore fallimentare, insediato presso il tribunale competente, è ricostruire con precisione la situazione fiscale dell’impresa o della persona dichiarata fallita. Questo significa avere accesso a tutte le dichiarazioni dei redditi, agli accertamenti, alle notifiche delle cartelle esattoriali e a qualsiasi altro documento fiscale emesso o in corso al momento dell’avvio della procedura. Senza questi elementi – spiegano fonti vicine al Ministero della Giustizia – diventa difficile gestire l’attivo e verificare i crediti in modo corretto.
Il giudice fallimentare della sezione imprese del tribunale di Milano, Alessandro Proietti, sottolinea: “La trasparenza verso il curatore è fondamentale per assicurare pari trattamento a tutti i creditori e evitare problemi nelle ripartizioni”. Tuttavia, nella pratica si incontrano ancora ostacoli: risposte lente dagli uffici finanziari, dati incompleti e continue richieste di integrazioni.
Enti fiscali chiamati a fare la loro parte
Gli enti impositori, primo fra tutti l’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, hanno il dovere di collaborare senza ritardi con il curatore. Devono fornire tutta la documentazione necessaria non solo sulle somme già iscritte a ruolo, ma anche sui procedimenti di accertamento ancora aperti, sugli avvisi bonari da definire e su ogni informazione utile a capire l’effettiva esposizione fiscale.
Nel dettaglio, come previsto dall’articolo 49 del D.P.R. 602/1973 e dalle riforme successive, il curatore può chiedere copia dei fascicoli fiscali e delle comunicazioni inviate al debitore. Di solito si invia una richiesta formale tramite PEC all’ufficio competente che dovrebbe rispondere entro trenta giorni. Ma come spiega un avvocato esperto in diritto fallimentare sentito da alanews.it, “spesso servono più solleciti, soprattutto nei casi più complessi o quando ci sono sedi diverse”.
Tra ritardi e responsabilità: le difficoltà sul campo
I tempi lunghi sono la principale fonte di attrito tra curatori e amministrazioni finanziarie. Negli ultimi mesi l’Ordine nazionale dei curatori ha segnalato casi di ritardi anche superiori ai due mesi, soprattutto nelle regioni con più imprese come Lombardia e Veneto. Un problema che – dicono gli addetti ai lavori – rischia di bloccare l’avvio della procedura, complicando sia il pagamento dei creditori privilegiati sia il recupero rapido dell’attivo.
Non meno importante è il tema della responsabilità del curatore. Se emergono irregolarità o omissioni dovute alla mancata comunicazione degli enti fiscali, la posizione del curatore si fa delicata. La Cassazione ha chiarito più volte tra il 2022 e il 2024 che “il curatore non può essere ritenuto responsabile per debiti erariali nascosti o non comunicati dagli enti”. Ma solo se è in grado di dimostrare di aver chiesto tutte le informazioni necessarie con documentazione precisa.
Digitale: una strada da percorrere ma ancora lunga
Sul fronte tecnologico qualche segnale incoraggiante arriva da alcune province che stanno sperimentando la condivisione digitale dei dati tra uffici fiscali e tribunali fallimentari. A Firenze, per esempio, da luglio è attiva una piattaforma pilota che permette al curatore – con le credenziali SPID – di consultare tutte le posizioni debitorie iscritte o in verifica.
Secondo il presidente dell’ordine locale dei commercialisti questo sistema ha tagliato del 40% i tempi medi per accedere ai dati. Ma finora solo sei province italiane partecipano al progetto. Per arrivare a una vera svolta nazionale servirà ancora tempo e un lavoro più stretto tra Ministero della Giustizia e Agenzia delle Entrate.
Lo stato delle cose e cosa aspettarsi
In attesa di una soluzione su scala nazionale – prevista dal 2026 secondo fonti ministeriali – resta un punto fermo: al curatore devono essere subito noti tutti gli elementi fiscali rilevanti. Solo così si può proteggere davvero l’interesse dei creditori ed evitare contenziosi futuri.
La realtà quotidiana però parla ancora di scambi cartacei, code agli sportelli e malintesi continui. Come ammette un curatore milanese con anni alle spalle: “Il digitale aiuterebbe molto, ma quello che serve davvero è un atteggiamento collaborativo da tutte le parti”.
